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Lenin e il movimento operaio italiano – Introduzione

Introduzione

Perché una nuova ricerca sugli scritti “italiani” di Lenin dal 1901 fino a dicembre del 1922?

Chi scrive ha ritenuto opportuno sia per ragioni di metodo storico che per colmare una lacuna nella storiografia contemporanea, compiere un’opera di ricerca “archeologica” analizzando quella che potremmo definire l’ “Opera completa” di Lenin sulla questione italiana. Attualmente esistono solo due raccolte, entrambe incomplete, degli scritti di Lenin sul movimento operaio italiano.

La prima risale all’età staliniana quando l’Unione Sovietica era definita da Felice Platone, curatore della prima edizione pubblicata nel 1947 con il titolo “Lenin, sul movimento operaio italiano” (1), “grande stato socialista” e Stalin visto come il continuatore ideale dell’opera di Lenin (2). Il testo nasceva con la collaborazione di una storica russa e l’approvazione di Nadezda Krupskaia; ma, nonostante la volontà di completezza (“Tutti i passi in cui si trova qualche riferimento, anche incidentale, all’Italia o a questioni italiane sono stati inclusi in questo volume (3)), l’edizione trascura parecchi scritti e, a parere di Luigi Cortesi, è “filologicamente insoddisfacente e inadeguata alle esigenze di studio” (4).

Basato su un criterio cronologico e non per problemi storici, come nella silloge italiana, è il testo sovietico “Lenin e l’Italia” edito nel 1971 (5). Ma anche questa raccolta denuncia i limiti di una ricerca “archeologica” ancora insufficiente, benché più ampia che nel testo italiano.

Da qui l’idea di portare finalmente alla luce i passi sul movimento operaio italiano nell’opera di Lenin finora trascurati o poco utilizzati dagli storici e di tenerli in considerazione nel nostro studio.

La ricerca ha dato buoni frutti: chi scrive ha raccolto parecchio materiale consultando tutta l’opera completa di Lenin, nella quale molti riferimenti alla questione italiana sono indubbiamente incidentali ed episodici, mentre altri, integrati coi i passi “maggiori”, permettono di avere un quadro più completo dei giudizi di Lenin su singoli fatti o problemi generali.

Naturalmente una ricerca sull’opera di Lenin, a settant’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, con le prospettive che questa data e gli anni successivi aprono per il movimento operaio italiano, non poteva essere solo meramente “archeologica” trascurando tutta una serie di problemi storici che chi scrive giudica ancora aperti al dibattito storiografico e politico.

Innanzi tutto è necessario sottolineare quanto gli storici vicini al Partito Comunista Italiano abbiano trascurato gli scritti di Lenin sull’Italia. Infatti l’edizione del ’47 non è stata assolutamente integrata né con la quinta edizione dell’opera completa di Lenin, né con le nuove ricerche italiane e sovietiche degli anni successivi. L’edizione del ’47 è stata ripresentata nel 1962 da Spriano che ne ha curato la nuova pubblicazione scrivendo un’introduzione (6). Nel 1970 e nel ’76 il volume viene ripubblicato nella collana “Le idee” dagli Editori Riuniti senza che l’introduzione del ’62 sia stata rivista oppure solo aggiornata.

Come si concilia il disinteresse mostrato dagli storici del Partito Comunista Italiano con l’affermazione di Spriano che l’ ”interesse che oggi presentano gli scritti di Lenin sulla questione italiana è considerevole”? (7). Ci si pone questa domanda soprattutto se pensiamo che nella storiografia italiana non esiste neppure un lavoro completo tale da abbracciare il lungo periodo tra il 1901 e il 1922.

Paradossalmente l’unico tentativo di analisi a fondo degli scritti “italiani” di Lenin è quello proposto dal tedesco Konig, il cui libro, edito in Italia nel 1972 (8), trascura gli scritti di Lenin sino al settembre del 1911 e non dimostra di aver compiuto una meticolosa ricerca di tipo documentario (alcuni importanti passi di Lenin sull’Italia sono stranamente trascurati); nel suo lavoro “non si coglie una linea evolutiva – scrive Patracchi – o una continuità nel pensiero di Lenin sul partito socialista italiano” (9) e soprattutto muove da una prospettiva politico-storiografica di tipo socialdemocratico, quindi insoddisfacente, a nostro parere, nel dare il giusto spessore teorico-politico agli interventi di Lenin sull’Italia.

Anche la ricorrenza del centenario di Lenin (1970) non è servita all’approfondimento critico dei rapporti tra Lenin e il socialismo italiano. Per esempio il Quaderno di “Critica marxista”, “Lenin teorico e dirigente rivoluzionario”, proponeva su questo tema solo l’articolo di Spriano, “Lenin e il movimento operaio italiano”, a nostro parere ripetitivo nella sostanza dell’introduzione del ’62 al volume edito dagli Editori Riuniti (10).

Ben più importante è il seminario tenuto nell’ottobre 1970, per iniziativa dell’Istituto Gramsci di Roma, sul tema “Lenin e il movimento operaio italiano” con la partecipazione al dibattito di molti studiosi, tra i quali citiamo Spriano, Ragionieri, Sereni, Villari, Procacci, Boffa e Manacorda (11). In esso sono emerse alcune prospettive di lettura dei rapporti tra Lenin e la questione italiana davvero interessanti: ad esempio la necessità di studiare, molto meglio di quanto sia stato fatto, i rapporti inviati dalla segreteria del PSI al bureau dell’Internazionale Socialista fino al 1914, in quanto fonti di informazione di Lenin, membro del bureau fin dal 1907, sulle caratteristiche del socialismo italiano; la rivalutazione del ruolo di Bordiga nel 1920-21 quale coerente rappresentante dell’I. C. in Italia molto più di Gmamsci e dell’ ”Ordine Nuovo”, nell’attuazione delle “Ventuno condizioni”.

Ma accanto a queste prospettive interessanti di ricerca, il dibattito, a nostro parere, ha anche sottolineato alcune carenze vistose: prima di tutto non è stata avvertita la necessità di un’edizione completa o solo più aggiornata degli scritti di Lenin sull’Italia; poi il periodo preso in esame (1912-1922) ha trascurato il decennio 1902-1911 del quale noi abbiamo cercato di evidenziare l’importanza.

Accanto a queste insufficienze nella ricerca, alcuni giudizi formulati durante il convegno, sull’opera di Lenin, lasciano perplessi: la sopravvalutazione da parte di Lenin dei risultati del congresso di di Reggio Emilia (1912) viene ricondotta (pur non trascurando l’influenza sul rivoluzionario russo degli articoli di Oda Olberg sulla “Neue Zeit”) tout-court ad una prospettiva – scrive Ferri – di “permanenza (di Lenin, ndt) nella Seconda Internazionale, che non in quella di omogeneizzazione del partito italiano al bolscevismo russo” (12). Tutto ciò nonostante sia documentabile la lotta di Lenin all’interno della II Internazionale contro il revisionismo e l’opportunismo annidati nei partiti maggiori e lo sforzo per creare “una base d’azione comune per tutta l’ala sinistra eterogenea dell’Internazionale” (13).

Complessivamente nel dibattito all’interno del Seminario dell’Istituto Gramsci l’accento è caduto più volte sulle insufficienze dell’attuale storiografia italiana nell’analisi di alcuni temi specifici (ad esempio il rapporto tra il PSI e l’Internazionale Socialista, le peculiarità del fascismo italiano, etc.), piuttosto che sulla necessità di studiare e approfondire, al di là delle solite schematizzazioni, un rapporto, quello tra Lenin e il movimento operaio italiano, di indubbia complessità tenendo conto del ritardo dell’attuale ricerca storica in Italia su questo tema.

Attualmente sulle relazioni tra Lenin e il socialismo italiano vi sono soltanto brevi ricerche riguardanti periodi limitati, tra le quali citiamo quella di Domenico Luciano (14), per altro parzialmente incompleta in sede di ricerca sulla conoscenza del nome di Lenin in Italia, che prende in considerazione soprattutto, a parte il soggiorno caprese, gli scritti di Lenin tra il 1912 e il febbraio del 1917; la ricerca di Pietro Melograni, “Lenin e la prospettiva rivoluzionaria in Italia” (15), che esamina il biennio 1919-20.

In questo articolo, a nostro parere, la politicizzazione della storia sacrifica proprio ciò che dovrebbe essere l’obiettivo, ossia l’analisi concreta dei fatti, nel tentativo di dimostrare a tutti i costi che “gli equivoci e le doppiezze della politica leniniana contribuirono, tra il 1919 e il 1922, alla vittoria di Benito Mussolini” (16).

Senza dubbio più apprezzabile e non inficiato da pregiudizi ideologici il lavoro di Melograni del ’74, “Rivoluzione russa ed opinione pubblica italiana tra il 1917 e il 1920” (17).

Sull’intero periodo 1910-1911 non è stato scritto nulla di specifico tranne che sui due viaggi di Lenin a Capri tra il 1908 e il 1910 (18) e sull’insufficienza della rivoluzione russa del 1905 sul socialismo italiano (19), forse perché è diffusa l’idea che solo con la guerra di Libia Lenin “scopre” l’Italia.

Ad esempio Platone scrive che “essenzialmente… una raccolta di scritti di Lenin sull’Italia è circoscritta ad un periodo storico ben determinato, agli anni 1914-1922” (20).

In realtà sono stati trascurati passi in cui Lenin denunciava, fin dal 1901 (con grande acume nonostante la scarsità di materiali di cui disponeva nella Russia autocratica) la politica imperialistica dell’Italia, sottolineava il persistere della tradizione proudhoniana e bakuniana nel socialismo italiano, nonostante il prevalere del riformismo secondo-internazionalista e additava, già nel 1905, il pericolo del socialismo collaborazionista italiano (“Turati è il Millerand italiano”).

Molto migliore è lo stato delle ricerche per quanto riguarda i rapporti tra Lenin e il socialismo italiano a Zimmerwald e a Kienthal (21), sull’influenza delle Rivoluzioni di febbraio e d’ottobre nel socialismo italiano nelle ricerche di Cortesi (22), Donati Torricelli (23) e in generale per tutto il periodo successivo sino ai complessi rapporti tra il PCd’I e e l’I. C. al Terzo e Quarto Congresso del Cominter (24).

Nonostante queste importanti ricerche, manca ancora un’opera unitaria tale da abbracciare i vent’anni di elaborazione teorico-politica di Lenin sull’Italia e poi è opinione di chi scrive che la storiografia italiana abbia spesso ricondotto i giudizi di Lenin nell’ambito delle direttive dell’I. C. (come nel caso del “fronte unico” politico in Italia) senza rintracciare e specificare posizioni politiche in parte autonome, per esempio il problema del giudizio positivo di Lenin su Livorno a differenza delle interpretazioni critiche di Levi, Clara Zetkin e di altri “destri” in seno all’IKKI durante il III Congresso.

A questo proposito Sirinja sostiene che nella “Storia del PCI” di Spriano la questione dei rapporti tra Lenin e il PCd’I “non è approfondita in modo esauriente, e alcuni giudizi in merito necessitano… di precisazioni” (25).

Più interessata alla ricerca documentaria, per le maggiori possibilità di accesso alle fonti, si è dimostrata la storiografia sovietica con gli articoli di Kunina per il periodo immediatamente precedente Livorno (26) e di Sirinja per il periodo da Livorno fino al IV Congresso dell’I. C. (27).

Accanto ad una meticolosa ricerca e analisi delle fonti più importati per ricostruire i giudizi e le indicazioni di Lenin sulla situazione italiana, e alla proposta di nuove linee interpretative, la prospettiva storiografica da cui muovono entrambi gli articoli è di tipo tradizionale con tutto ciò che questo comporta: ad esempio la sottovalutazione del ruolo di Bordiga e la polemica contro l’ “estremismo” bordighiano a tutto vantaggio della figura di Gramsci, l’esasperazione del contrasto tra Lenin e la direzione del PCd’I al tempo del “Fronte unico”.

La consapevolezza che alcuni temi storiografici necessitino di un approfondimento rispetto alle opinioni correnti acquisite come dati di fatto da una ricerca storica di sinistra poco incline a rivedere criticamente giudizi e interpretazioni formulati negli anni ’50 e ’60 (28), ci hanno indotto, accanto e parallelamente al nostro tema base, a soffermarci su alcuni nodi storici di indubbio interesse, sollecitati in questo dalle prospettive di giudizio che emergevano dagli scritti di Lenin.

L’assenza del marxismo teorico e politico nel socialismo italiano (al di là della vulgata riformista) dalla fondazione del PSI e nella formazione dei quadri dirigenti, il carattere equivoco del massimalismo italiano che si afferma a Reggio Emilia nel 1912 e dominerà fino a Livorno, la realtà di collaborazione di classe celata dietro il mito dell’ ”opposizione intransigente” del PSI alla guerra, il problema del ritardo del partito rivoluzionario in Italia derivato dal ruolo apparentemente disponibile alla rivoluzione del “serratismo” e dalle pregiudiziali astensionistiche di Bordiga, la funzione decisiva del rivoluzionario napoletano nel ’20 nella formazione del partito rispetto al ritardo teorico-politico del gruppo dell’’ “Ordine Nuovo”, il ridimensionamento dei dissidi tra il PCd’I e l’ I. C. al tempo della tattica del “Fronte unico” politico, ci sono sembrati temi di grande importanza e interesse.

Nello stesso tempo abbiamo affrontato l’influenza del pensiero di Lenin sul socialismo italiano, sensibile solo a partire dal II Congresso dell’Internazionale Comunista; il permanere del lungo equivoco tra Lenin e il PSI di Reggio Emilia (1912) fino alla metà del ’20 sulle disponibilità classiste e rivoluzionarie del socialismo italiano, il quale può indubbiamente aver rallentato, negli anni cruciali del “Biennio Rosso”, la formazione di una sinistra marxista pronta ad operare per un “Ottobre italiano”; il ruolo sempre più incisivo di Lenin negli ultimi mesi del ’20 per la scissione dei comunisti dal PSI senza naturalmente dimenticare le cause endogene del processo, come invece ha fatto parte della storiografia italiana affermando, sulla scia di Serrati e Turati, che la scissione livornese è stata dovuta agli “ordini di Mosca” (29).

Accanto a questi temi abbiamo cercato, nei limiti dell’informazione esistente, di cogliere quantità e qualità delle conoscenze di Lenin sulla questione italiana, per spiegare le origini di alcuni suoi errori di valutazione, ad esempio sui risultati di Reggio Emilia (1912) e Bologna (1919). Nei limiti dello spazio consentitoci abbiamo inserito i giudizi e le direttive di Lenin sull’Italia nel quadro della politica internazionale dei bolscevichi dopo l’Ottobre, e poi del Cominter per evitare il rischio di dare un tono “geograficamente” limitato alla nostra ricerca.

Una certa attenzione è stata posta, ad esempio, al rapporto tra rivoluzione in Occidente e costruzione del socialismo in Russia (demistificato poi dalla staliniana “edificazione del socialismo in un paese solo”), per inserire la prospettiva rivoluzionaria in Italia nel quadro mondiale nel quale Lenin la collocava.

Comunque è un dato ormai assodato nella ricerca internazionale che, fino a quando non si aprirano agli studiosi gli archivi sovietici, qualunque studio sul movimento operaio italiano in questo periodo storico non potrà dirsi completo ed esauriente (30).

Note all’introduzione