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Carlo e Mauro Venegoni: militanza politica e impegno ideologico

Carlo e Mauro Venegoni: militanza politica e impegno ideologico

“Non un passo indietro!”

Appunti

Dei fratelli Venegoni, quando si parla di loro, si mettono in evidenza la forza del loro antifascismo, i lunghi periodi di prigionia nelle carceri fasciste, il confino, la detenzione nel lager di Bolzano (Carlo), la lunga militanza nelle file del comunismo a difesa dei lavoratori (nel caso di Carlo, morto nel 1983 si può parlare di militanza quasi settantennale), la morte orribile di Mauro ucciso dai fascisti nell’ottobre del ’44.

E’ mancato quasi sempre nelle rievocazioni storiche la capacità di sottolineare l’originalità del loro pensiero che fa di Mauro e Carlo due esponenti di una linea che potrei definire alternativa alla Resistenza ufficiale.

Carlo e Mauro nascono in una famiglia operaia dove  madre e padre iniziarono a lavorare a 8 anni nel cotonificio Cantoni. I due figli, nati all’inizio del secolo scorso, iniziarono a lavorare a 12 anni con turni di 10 ore anche la notte.

Scrisse poi Carlo: “La felicità entrava di rado nelle famiglie operaie. Si viveva sotto l’assillo dei debiti, con la paura di perdere il lavoro, di ammalarsi e di invecchiare senza assistenza né pensione. Le case buie e fredde, illuminate malamente di sera da qualche lume a petrolio, e riscaldate d’inverno da qualche piccola stufa di ghisa, non erano certo accoglienti. La sera, mentre gli uomini andavano all’osteria, a casa le donne restavano sole, e dopo aver messo a letto la marmaglia riprendevano a lavare, a stirare, a rammendare, fin che non ne potevano più”.

L’inizio del loro impegno politico avviene il 1 maggio del ’17 quando a Legnano ascoltano un esponente socialista che parlava di pace. E’ un fulmine! Da quel momento iniziarono un impegno politico a favore del proletariato che teminerà solo con la loro morte. Da notare che nel ’17 Carlo ha 15 anni, Mauro 14 anni.

Nel ’21 aderiscono alla nascita del Partito comunista d’Italia accanto a Bordiga e Gramsci e sarà proprio quest’ultimo a invitare Carlo a Mosca per il V congresso dell’Internazionale comunista nel 1924. E’ il primo senza Lenin.

Ma soprattutto è il momento del trapasso dei poteri da Lenin a Stalin e del momento del primo scontro tra Stalin e Trotzkij.

Per nulla intimorito dall’ambiente (ha solo 20 anni) Carlo difende Trotskij dalle accuse di Stalin, Bucharin e Kamenev, prende posizione a favore di Bordiga e si pone contro Togliatti e Gramsci.

Un anno dopo Carlo Venegoni, ancora più legato a Bordiga e Trotskij, si pronuncia più volte contro la teoria di Stalin della costruzione del socialismo in un paese solo sostenendo che il partito comunista dell’Unione sovietica doveva lavorare per la rivoluzione mondiale, se voleva sopravvivere come partito comunista e sviluppare veramente il socialismo in U.S.

Sappiamo come andarono le cose:

–         in U.S. trionfò il socialismo in un solo pase e questo paese conobbe lo sterminio dei kulaki, lo sfruttamento dei lavoratori nell’industrializzazione forzata, conobbe i gulag, le fucilazioni di massa, la condanna a morte di quasi tutti i comunisti che erano intorno a Lenin nel ’17, l’omicidio di Trotzkij, la carestia in Ucraina e tante altre nefandezze del cosiddetto stalinismo.

–         In Italia l’affermazione di Stalin coincise con l’egemonia di Togliatti e la messa al bando di ogni opposizione interna tra cui quella del gruppo bordighista di cui faceva parte Carlo Venegoni

Intanto il fascismo stronca ogni opposizione in Italia e Carlo è condannato nel ‘28 a 10 anni di carcere mentre Mauro è condannato nel ’32 a 5 anni di carcere.

Sono liberati pochi anni prima del ’40 ma con l’entrata in guerra i due fratelli sono di nuovo incarcerati nel ’40 fino al 25 aprile del ’43.

Da notare che Mauro è espulso dal Pci durante il confino alle Tremiti per la sua chiara opposizione allo stalinismo in Urss e soprattutto in Italia (’40). Anche quando sarà ucciso dai fascisti era fuori dal partito.

Il frutto migliore del loro impegno politico è nella stampa del “Lavoratore” che uscirà nell’Alto milanese in 11 numeri fino al luglio del ’44.

In questo frangente i fratelli sono diventati 4 perché ormai sono diventati “rivoluzionari di professione” anche i più giovani Pierino (ha 35 anni nel ’43) e Guido (24 anni nel ’43).

Fin dal primo numero del Lavoratore (novembre ’43) la contrapposizione con la linea del Pci è frontale. Mentre i vertici del Pci propongono la sola lotta antifascista per liberare l’Italia in accordo con altri partiti antifascisti, Mauro e Carlo pongono il problema prioritario della lotta di classe contro la borghesia che deve venire ancora prima della lotta contro l’occupante tedesco.

C’è in loro la consapevolezza che la borghesia italiana dopo avere foraggiato per lunghi anni il fascismo sta passando armi e bagagli all’antifascismo nel tentativo di salvaguardare il proprio ruolo di classe dirigente.

In sostanza fascismo e democrazia sono due strumenti nelle mani della stessa classe dirigente.

“Il proletariato, secondo C. e M., è la classe dirigente del domani. Di fronte alla borghesia il proletariato giganteggia” e deve preparare “le basi dell’ordine nuovo”.

“La borghesia italiana, colpevole di tanti misfatti, di tanti lutti, di tante rovine, colpevole di avere riempite le galere e i campi di concetramento di lavoratori innocenti, deve perire insieme con la monarchia e il fascismo”.

In sostanza mentre Togliatti propone l’allenza di tutte le forze antifasciste per liberare l’Italia (e sarà la linea ufficiale della Resistenza), C. e M. pongono all’ordine del giorno la difesa degli interessi di classe del proletariato, la lotta di classe e nel futuro la rivoluzione proletaria, con una chiarezza di intenti che è straordinaria rispetto al patriottismo e all’interclassimo del Pci.

In Mauro e Carlo c’è una formazione politica marxista e leninista che fa di loro autentici “rivoluzionari di professione” e “intellettuali operai” secondo la migliore tradizione socialista.

L’attacco della direzione del Pci ai due sinistri è estremo: Secchia (più staliniano di Stalin) nel dic. del ’43 scrive: “Costoro accusano il Pci di tradire il proletariato italiano perché si è fatto propugnatore del Comitato di liberazione nazionale, perché si è alleato con i partiti borghesi. Costoro strillano che bisogna farla finita con la democrazia, che la democrazia è la stessa cosa del fascismo. Costoro dicono che bisogna fare la rivoluzione proletaria, che ci vuole la dittatura del proletariato. Ecco Hitler, ecco Gobbels che cacciano fuori il loro volto”. Conclude Secchia dicendo che i sinistri sono “Maschera della Gestapo”.

Con il ritorno di Togliatti dall’Urss e la svolta di Salerno nel marzo del ’44 (collaborazione con il re e Badoglio) il contrasto tra i due dirigenti del proletariato milanese e la direzione del Pci è insanabile.

Per il Lavoratore la “vera democrazia”

–         non può essere solo il suffragio universale

–         non può essere la collaborazione con i partiti borghesi nel Cln nel “Fronte nazionale” di Togliatti

–         non può essere la restaurazione del potere della borghesia italiana dopo la cacciata del nazifascismo

–         non può essere la democrazia parlamentare ed elettorale

La “vera democrazia” per Carlo e Mauro

–         è la rivoluzione sociale dopo la fine del dominio nazifascista

–         la “democrazia del lavoro”

–         la lotta di classe

–         l’educazione del proletariato basata sulla diffusione di una vera coscienza di classe

In sostanza la Resistenza doveva diventare una vera e propria “guerra di classe”, che comprendeva anche la lotta armata contro tedeschi e fascisti; ma la lotta antifascista non doveva terminare qui: doveva poi continuare fino all’instaurazione del socialismo in Italia.

Al Pci si rimprovera anche il trascurare la lotta salariale nelle fabbriche per difendere le condizioni di vita dei lavoratori minacciate dalla fame e dai bassi salari.

Ancora nel maggio del ’44 il Lavoratore polemizzava contro la mancanza di un vero dibattito all’interno del Pci dove la linea da seguire era imposta dall’alto senza alcun confronto. Il giornale parlava di “conformismo cieco”, “idolatria dei capi” (Stalin e il Migliore), “disciplina passiva”.

Nel maggio ’44 l’attacco alla linea ufficiale della Resistenza  è totale:

–         “lo sforzo maggiore dei Comitati di liberazione è diretto a svuotare l’agitazione delle masse da ogni contenuto classista e non a lottare veramente contro l’invasore”

–         “il fine dell’imperialismo anglo-americano in Italia è ricostruire uno stato borghese-capitalista”. Quindi gli angloamericani non sono i “liberatori”

–         Urss e Stati Uniti sono due paesi imperialisti la cui collaborazione cesserà alla fine della guerra così come cesserà di esistere la collaborazione nei Cln

I giudizi sull’imperialismo anglo-americano e sovietico saranno poi confermati dalla storia.

La risposta del Pci sono insulti. Nel febbraio del ’44 il Lavoratore è definito “giornale controrivoluzionario” diretto da “una decina di undividui incarogniti dall’odio contro il partito e i suoi dirigenti”.

Nel maggio del ’44 la Direzione del Pci definisce il Lavoratore “giornale controrivoluzionario”  e i collaboratori del foglio “devono oggi considerarsi espulsi dal partito per indegnità politica e tradimento”.

Si arriva al paradosso che la politica dei “sinistri” è valutata positivamente solo dalla stampa fascista: “I comunisti dissidenti contano tra di loro intelligenze indubbiamente superiori a quelle dei funzionari che servono la politica imperialistica del Cremlino. Il prof. De Luca, Fortichiari, Onorato Damen, Bruno Maffi, i fratelli Venegoni e molti altri , raccolgono in questo momento adesioni sempre più numerose tra gli iscritti al partito ufficiale, che vede verificarsi nei suoi ranghi uno sbandamento di giorno in giorno più grande”. (“La sera”, 9 giugno ’44)

Nell’estate del ’44 avviene la svolta: i “legnanesi” decidono di chiedere al Pci la riammissione nelle sue fila.

Probabilmente qui Carlo e Mauro si dividono. Carlo si convince che nell’ultima fase della lotta contro fascisti e nazisti era pericoloso stare soli ed era loro dovere aiutare il Partito nello sforzo finale. L’ultimo numero del Lavoratore è del luglio ’44.

Mauro invece rimane fedele alla sua assoluta intransigenza rispetto allo stalinismo e al Pci. Non cessa però la loro attività politico militare nell’organizzazione degli scioperi nell’Alto milanese, nelle azioni di sabotaggio nella Valle Olona. Il loro gruppo è radicato in un’area che va da Rho a Varese e conta 2.000 simpatizzanti in tutte le più grandi fabbriche.

Mentre Carlo è arrestato dai fascisti, viene deportato a Bolzano e trova il modo di fuggire da Bolzano evitando la deportazione in Germania, Mauro va incontro alla morte nel tentativo di unirsi a bande partigiane che operavano nella Valle Olona.

Da notare che Mauro è ancora fuori dal partito e la cattura da parte dei fascisti è in parte frutto di questo stato di cose. In sostanza negli ultimi giorni della sua esistenza Mauro non ebbe la protezione del partito.

Poi sappiamo cosa accadde:

– l’arresto e il riconoscimento

– le torture orribili e l’abbandono del corpo nei presi di Cassano Magnago (3 ottobre ’44)

– il ritrovamento del corpo e il cordoglio di tutti

A chi raccomandava a Mauro un po’ di attenzione nella sua attività, rispondeva: “Noi dobbiamo rimanere sulla breccia e se nostro destino è sacrificarci, dobbiamo cadere là, al nostro posto di combattimento! Non un passo indietro!”

Finita la guerra con l’aprile del ’45 il nome di Mauro Venegoni entrò nella leggenda, ma come spesso capita quando un  personaggio entra nella leggenda si dimenticano i tratti più importanti del suo pensiero e della sua politica, soprattutto quando la sua politica era stata scomoda per i vincitori del 25 aprile.

Oggi in un momento in cui la sinistra italiana appare priva di punti di riferimento e soprattutto priva di chiare strategie politiche, il ritorno ai fratelli Venegoni non sarebbe una perdita di tempo, anzi sarebbe l’occasione per riscoprire una tradizione politica marxista e operaia con troppa facilità dimenticata

Per chi invece si occupa di storia, la figura dei fratelli Venegoni è utile per capire che esisteva la possibilità di un’altra resistenza al nazifascismo, una Resistenza operaia e comunista, che non si è realizzata, ma che merita oggi di essere studiata e tenuta in considerazione.

Giancarlo Restelli