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La vera storia della Lega Lombarda (quella del 1167)

La vera storia della Lega Lombarda (quella del 1167)

“… il compito, anzi il dovere primo dello storico

è guardare alla “fattualità” degli eventi

con concretezza. E con onestà”

Indro Montanelli

Gentile Direttore (Legnanonews),

fra pochi giorni ci sarà il Palio delle Contrade e come corollario prevedibile non mancheranno i tanti discorsi volti a interpretare in un senso o in un altro la celebre battaglia del 1176.

Sono sostanzialmente due le vulgate più diffuse, che però con la storia non hanno nulla o poco a che fare.

La prima è forse quella che conosciamo meglio, diffusa a piene mani soprattutto l’anno scorso in occasione del 150esimo dell’Unità italiana. In sostanza la battaglia del 1176 sarebbe espressione della nazione italiana sull’imperialismo germanico incarnato nella figura del Barbarossa. Questa tesi trovò molti estimatori durante il Risorgimento e piacque così tanto da entrare d’autorità nell’ “Inno di Mameli”.

Nulla di più sbagliato. Per l’uomo del XII secolo le parole “Italia e Italicus” non avevano una particolare risonanza: erano pure “espressioni geografiche” per dirla con il Metternich. Contava molto di più, ed era la “vera patria”, il Comune in cui una persona abitava e lavorava. In sostanza era il “campanile” non la patria italiana ad essere amato!

L’altra vulgata è più recente ma non per questo meno insidiosa e vuole presentare la famosa Battaglia come espressione del senso comunitario maturato nel popolo “padano” dell’epoca, come se questo “popolo” avesse costituito un insieme omogeneo e ben strutturato e non una congerie di città comunali unite solo dalla necessità di combattere i vicini.

Il problema è che dobbiamo abituarci, se vogliamo parlare di storia, a studiare quanto è accaduto e non a interpretare i fatti secondo i nostri schemi mentali.

Vediamo appunto i fatti. Il 1 dicembre del 1167 i rappresentanti di sedici città si riunivano per dar vita alla “Societas Lombardie”, ossia la “Lega Lombarda”: erano Milano, Lodi, Cremona, Brescia, Bergamo, Piacenza, Parma, Bologna, Modena, Verona, Venezia, Padova, Treviso, Vicenza, Mantova e Ferrara. Potremmo pensare che queste città fossero il fior fiore della “Padania” dell’epoca, finalmente unita contro l’invasore teutonico.

Ma come sa ogni buon studente delle medie-superiori quante inimicizie c’erano tra queste città capitanate da Milano, che ad alcune faceva più paura del Barbarossa!

Milano aveva distrutto Lodi più volte riducendola a umile vassallo. Milano sosteneva Crema per creare difficoltà alla rivale Cremona. I novaresi erano avversari di Milano perché quest’ultima sosteneva i conti di Biandrate, loro nemici; Parma era avversaria di Piacenza per il controllo della “Via Francigena” e si appoggiava a Milano, quindi Milano osteggiava Piacenza. Milano difendevaTortona in odio all’imperiale Pavia; ma Milano opprimeva anche Como per il controllo dei passi alpini. Genova e Venezia erano troppo distanti per interessarsi di quanto avveniva nella Pianura Padana. Poco più a sud del Po Bologna, città fedele all’imperatore, aveva contrasti con Ancona, città bizantina.

Insomma, l’Italia centro-settentrionale era un vero e proprio “nido di vipere” dove le alleanze erano mutevoli quanto le stagioni e avevano una logica solo nella difesa del proprio “particulare”. Il concetto di patria era allora circoscritto entro le mura cittadine.

Al tempo della prima discesa del Barbarossa in Italia (1154), quando cinge d’assedio Milano, c’era tutta la Lombardia con lui unita dalla comune avversione per la politica espansionistica dell’antica Mediolanum. Al fianco del biondo imperatore c’erano parmensi, cremonesi, pavesi, novaresi, astigiani, vercellesi, comaschi, bergamaschi, vicentini, trevigiani, padovani, veronesi, ferraresi, revannati, bolognesi, reggiani e contingenti dei centri minori.

Per la cronaca l’assedio durò pochi mesi e i milanesi si presentarono al cospetto dell’imperatore scalzi, miseramente vestiti, imploranti pietà per evitare la distruzione della città.

Otto anni più tardi Milano fu interamente distrutta dal Barbarossa perché aveva osato riprendere le armi contro i propri nemici alleati all’impero. L’assedio questa volta durò sei mesi (agosto 1161 – primi giorni del ’62) e la decisione dell’imperatore fu di radere al suolo la città. Ebbene quando iniziò la demolizione della città (20 marzo 1162) i lodigiani abbatterono Porta Orientale, Porta Romana fu abbattuta dai cremonesi, i novaresi distrussero Porta Vercellina, i comaschi Porta Comacina, Porta Ticinese i pavesi, Porta Nuova fu distrutta dagli abitanti del Seprio e della Martesana.

Le cronache dell’epoca fanno capire la soddisfazione delle città vicine nel distruggere l’odiata Milano, il tutto alla faccia di presunte aspirazioni di unità del “popolo padano” in lotta contro l’odiato straniero.

Quali sono i motivi che portano “Federico il Tedesco” a scendere cinque volte in Italia: la prima nel 1154, l’ultima nel 1174?

Il problema è che con l’andare del tempo il Sacro Romano Impero della Nazione Germanica (nato nel 962 con Ottone I) aveva perso il controllo dell’area settentrionale dell’Italia, che faceva parte del suo territorio. Le frequenti lotte tra i feudatari tedeschi, la necessità di armare lunghe e costose guerre, i contrasti con il papato di Roma avevano portato i predecessori del Barbarossa a trascurare il “Regnum Italie”, di cui avevano il titolo di “Rex Italie”.

Federico di Hohenstaufen, dopo aver finalmente pacificato la Germania, era pronto a scendere in Italia a reclamare quelle “regalia” (“iura ragalia”), ossia tasse e diritti vari, che le città non versavano più da tempo alle casse dell’impero.

Non quindi la libertà fu l’aspirazione di quanti presero le armi contro l’imperatore ma la difesa di un “diritto” ritenuto ormai avente forza di legge: l’autorità dell’impero era riconosciuta ma l’imposizione delle tasse e dei balzelli era considerata un arbitrio.

Anche la parola “Libertas”, così ammantata oggi di fascino, nel Basso Medioevo aveva altri significati più concreti: per i “mercatores” (ricca borghesia) e i “milites” (aristocrazia inurbata) – le due classi fondamentali nei Comuni – simboleggiava il mantenimento delle consuetudini e dei diritti acquisiti, tra i quali la non devoluzione delle tasse all’impero.

Ora invece alla vigilia del 1176 la situazione era mutata e i rapporti di forza erano a netto vantaggio di Milano e dei suoi fieri o recalcitranti alleati. Pesava molto la lontana scomunica comminata al Barbarossa dal papa Alessandro III, strenuo nemico dell’imperatore, nel 1159; ma soprattutto faceva paura la politica del Barbarossa che pretendeva e otteneva il rispetto di antichi tributi e di diverse prerogative imperiali.

Per le riottose città del Nord, prima alleate del Barbarossa, era preferibile ridare a Milano il precedente ruolo antitedesco nel tentativo di ridimensionare la politica germanica nel nord Italia. Così avvenne.

Prima ci fu il giuramento nel monastero di Pontida del 7 aprile del 1167, probabilmente leggendario. Siamo invece sicuri che tre giorni prima ci fu un accordo tra Milano, Bergamo e Cremona che prevedeva anche la ricostruzione delle mura di Milano e quindi la resurrezione della città. Della fondazione della Lega Lombarda nello stesso anno si è detto.

Con gli anni la Lega si allargò imponendo a Pavia e Como, città imperiali, di aderirvi: quanta spontaneità ci fosse e quante minacce di distruzione da parte di Milano è facile da percepire.

Dal 1167 al 1176, anno della celebre Battaglia, ci furono dieci anni dove la Lega Lombarda minacciò di naufragare a causa dei tanti dissidi derivati delle diverse politiche dei propri membri.

La quinta e ultima discesa di Federico nel 1174 ridette fiato alla Lega e a chi chiedeva con forza un definitivo regolamento dei conti con “Barba di rame”. Pavia e Cremona approfittarono subito per rompere con la Lega e passare dalla parte di Federico. Ma anche lui non se la passava bene a causa delle frequenti ribellioni dei feudatari in Germania accanto alle preoccupazioni per la politica dei Normanni nel Sud Italia e del Papa a Roma.

La battaglia di Legnano avvenne quasi per caso con l’imperatore che stava muovendo verso la fedele Pavia per ricevere rinforzi e le forze della Lega accampate nei pressi di Legnano, fra il Ticino e l’Olona, per sbarrargli il passo.

Rischiò di morire il Barbarossa travolto al centro dello schieramento tedesco dal coraggioso attacco della cavalleria della Lega. Ma seppe subito riprendere in mano la situazione: l’intelligenza politica non gli mancava.

Incominciò a trattare singolarmente con i Comuni esautorando la Lega, poi fece di Milano il fulcro della sua politica italiana e così la fiera avversaria del Barbarossa divenne dopo il trattato di Costanza (1183) la più ghibellina delle città del nord, tanto che Federico nel 1185 decise che il matrimonio tra il figlio Enrico e Costanza di Altavilla fosse celebrato proprio a Milano.

La Lega Lombarda cadde preso nel dimenticatoio e fu recuperata solo nella temperie romantica, ossia in quella cultura del primo Ottocento che cercava di scoprire con avidità i pochi fatti politici dei secoli precedenti che potevano prestarsi a una lettura di tipo nazionale.

Sismondi, Pellico, Cantù, Berchet, Giusti, Mamiani, Hayez, Gioberti, Verdi fino al Carducci fecero di Pontida, della Lega Lombarda e della battaglia di Legnano un mito. Ma quando la storia diventa leggenda vuol dire che i fatti sono schiacciati dal peso delle ideologie.

Poi la prima affermazione della Lega Lombarda di Bossi portò nuova linfa a questa “storia” ideologica in cui le fantasie annullano la realtà. Addirittura Legnano che nel Risorgimento era simbolo di storia nazionale, ora diventa simbolo di storia “locale”.

È fantasia Pontida, ma sono fantasie anche Alberto da Giussano con la “Compagnia della Morte” o “Compagnia del Carroccio”, perfino la famosa “Martinella”, ossia la campana sul Carroccio. Questi carri, la cui funzione era sacrale e militare, non ne erano dotati.

Almeno la Battaglia fu combattuta a Legnano? Anche qui i documenti non ci confortano. Scrive Paolo Grillo, autore di un bel libro sulle vicende di cui parliamo: “La posizione (fanti e cavalieri della Lega ndt) fu trovata a un paio di chilometri a ovest di Legnano, a nord del villaggio di Borsano, là dove passava la strada per Magenta e dove una spianata sufficientemente vasta avrebbe consentito il completo schieramento della fanteria… Lo scontro avvenne forse non lontano dal villaggio di Sacconago, dove ancor oggi, stretti fra i capannoni, alcuni scampoli di boschi e di campi ci restituiscono una pallida immagine del paesaggio preindustriale” (Paolo Grillo, “Legnano 1176. Una battaglia per la libertà”, Editori Laterza 2010).

La battaglia, quel 29 maggio 1176, fu cruenta: 3.000 cavalieri teutonici comandati da Federico contro 10-12.000 uomini delle milizie comunali, soprattutto fanti, a cui aggiungere 2.500-3000 cavalieri.

Difficile se non impossibile calcolare il numero dei morti e dei prigionieri, ma dovettero essere numerosi, soprattutto dalla parte del Barbarossa che, come detto, rischiò di morire quel giorno. Fu sicuramente una delle più grandi battaglie del XII secolo.

Forse la storia apparirà un po’ arida ai facitori di miti, forse apparirà poco poetica a chi cerca il fantastico e il leggendario.

A tutti coloro che cercano nella storia quello che non vi è viene in mente un titolo pirandelliano: “Così è, se vi pare”!

Noi moderni, con le nostre idee, abbiam fatto

tanti eroi d’indipendenza dei congiurati di Pontida,

i quali, meglio studiati, si trovano essere stati dei

vassalli (come tutti gli altri) in questione col loro signore,

e che avrebbero dato del matto a chi avesse voluto metter innanzi

che Federico non era il loro padrone e signore”

Massimo D’Azeglio

Giancarlo Restelli

Per la ricostruzione degli avvenimenti mi sono avvalso di un affascinante libro di Franco Cardini: “La vera storia della Lega Lombarda”, Oscar Mondadori 1991. Franco Cardini è il nostro miglior medievalista

 

 

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