Return to Giorno della Memoria

Perchè ricordare? Giorno della Memoria 2016

Giorno della Memoria 2016

https://www.youtube.com/watch?v=sCTCGUv_2QM

https://www.youtube.com/watch?v=ctMl8XvMOL8

https://www.youtube.com/watch?v=kZ9YbONKqBI&feature=youtu.be

Perché ricordare?

Legnano-Mauthausen

Primo Levi descrive così quel giorno di settant’anni fa: “La prima pattuglia russa giunse in vista del campo verso il mezzogiorno del 27 gennaio 1945. … Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi”.

Quel giorno, il 27 gennaio, è stato scelto perché non venisse mai dimenticato ciò che i quattro giovani soldati russi hanno visto. Auschwitz. Il lager di Auschwitz.

Quindi Giorno della Memoria, uguale la liberazione di Auschwitz, uguale ebrei, uguale “Il diario” di Anna Frank, uguale “Se questo è un uomo” di Primo Levi.

Primo Levi… ebreo… Primo Levi era sì un ebreo ma non è stato inviato in campo di concentramento in quanto ebreo. No, Primo Levi è stato arrestato durante un’azione partigiana. Primo Levi era un partigiano e in quanto partigiano è stato inviato in un lager. Nei lager quindi non c’erano solo ebrei?

Legnano ogni anno a gennaio ricorda la tragedia che si è compiuta alla Franco Tosi. Era il 5 gennaio 1944. Quel giorno c’era in corso uno sciopero, i fascisti legnanesi temevano di essere travolti e hanno chiesto aiuto ai tedeschi, i quali agli ordini del generale Otto Zimmermann poco dopo le 13.00 sono entrati in fabbrica con camionette e mitragliatrici ed hanno messo al muro ed arrestato un’ottantina di lavoratori, conducendoli al carcere circondariale di San Vittore di Milano, stipati su dei camion che attendevano sul piazzale della stazione.

Nei giorni successivi, dopo interrogatori e pestaggi, sono stati progressivamente liberati tutti, tranne otto, tra cui l’ing. Pericle Cima, capo della sezione dei calderai, e diversi esponenti della Commissione Interna della Tosi e della Resistenza legnanese.

Paolo Cattaneo, Pericle Cima, Alberto Giuliani, Carlo Grassi, Francesco Orsini, Angelo Sant’Ambrogio, Ernesto Luigi Venegoni, Antonio Vitali vennero inviati nel lager di Mauthausen e da lì in altri lager. Solo Paolo Cattaneo sopravvisse, ma pochi anni più tardi si suicidò. A marzo altri otto dipendenti vennero arrestati in occasione degli scioperi: Giuseppe Bosani, Rino Cassani, Carlo Enrico Giovanni Ciapparelli, Pietro Gobbo, Astorre Landoni, Mario Pomini, Eugenio Verga e Davide Zanin. Furono tutti arrestati non dai tedeschi, ma dai fascisti. Tutti classificati come “deportati politici” e tutti deceduti nei lager.

E non sono gli unici. Dallo studio sfociato lo scorso anno nella realizzazione da parte dall’ANPI di Legnano del libro “I deportati politici dell’Alto Milanese nei lager nazisti. Busto Arsizio, Gallarate, Arluno-Castano Primo, Legnano, Magenta, Rho, Saronno” risulta che da Legnano e dal Legnanese sono stati ben 62 i deportati, con un tasso di mortalità del 53,2 per cento. Di Legnano città sono 32 i deportati e solo 11 sono sopravvissuti. Tra essi un sacerdote, don Mauro Bonzi, morto pochi anni dopo per le conseguenze delle privazioni subite nel lager di Dachau, e un partigiano, Candido Poli, miracolosamente sopravvissuto al lager di Dachau e alla prigione di Bernau, salvato in extremis dalla catasta di morti e moribondi ammonticchiati e lasciati morire di fame perché ormai inutilizzabili per il lavoro. Vite tolte o comunque distrutte, rovinate. Candido Poli ha confessato che non riusciva più a dormire: “per vent’anni di notte entravo nel lager”.

Non è mai piacevole ricordare i fatti orribili della vita. E allora perché ricordare? Che senso ha? Dopo settant’anni?

“Vi prego, vi prego, insegnate ai giovani quello che è stato, fatelo sapere perché coloro che non sono più non siano solo ombre, ma uomini innocenti che hanno pagato anche per le nostre colpe dell’indifferenza”, sono le parole pronunciate da Steven Allan Spielberg al momento di ricevere l’Oscar per il suo film “Schindler’s List”.

Indifferenza. Quanta indifferenza c’è oggi? “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari. E fui contento perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei. E stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, ed io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare” ci ammonisce Bertolt Brecht.

La memoria storica è importante: non si può costruire il domani se non si conosce ciò che è stato. Ed è importante conoscere per evitare che quanto di orribile è accaduto possa ripetersi. Il negazionismo vorrebbe riproporre la tesi del “complotto sionista ebraico” contro il mondo intero giustificando, ancora oggi, un’eventuale futura “soluzione finale” del “problema-ebrei”, cioè un altro tentativo di genocidio. Non settant’anni fa: oggi! E vorrebbe farci credere pertanto che i lager non sono esistiti, che i nostri concittadini legnanesi non sono morti (chissà dove sono finiti?) e non hanno vissuto tutti i patimenti che raccontano.

In fondo i deportati erano stati già avvisati di questo dai nazisti stessi all’interno dei lager: “non vi crederanno mai!” Nel libro “Quei ventenni del ‘43” di Paolo Pozzi è raccolta la testimonianza di Angelo Castiglioni di Busto Arsizio, miracolosamente sopravvissuto al lager di Flossembürg ed altri lager: “per altri 11 anni della sua vita – vi si legge – la matricola 43.549 dovrà peregrinare in ospedali, sanatori e anche in manicomi per riprendersi e curarsi. Anche perché quando raccontava ai medici come era la vita nei campi di sterminio nessuno gli credeva e dicevano che era pazzo”.

Eppure i deportati, che fossero ebrei, zingari, disabili, testimoni di Geova, omosessuali o deportati politici (i “triangoli rossi”) hanno cercato con tutte le loro forze di vivere proprio per testimoniare, hanno cercato di nascondere e far uscire dai lager documenti e fotografie, le prove di quanto avveniva là dentro proprio perché in futuro non accadessero più cose così terribili. Mai più. Anche questa è stata Resistenza.

In particolare sono stati i deportati politici a lottare, a fare la Resistenza, non solo prima di essere catturati ma anche all’interno dei lager e a loro dobbiamo tutta la nostra riconoscenza per il contributo che hanno dato, rischiando – consapevolmente – la vita. Grazie anche a loro oggi godiamo della libertà ed abbiamo una tra le più belle Costituzioni del mondo.

Dai deportati possiamo anche imparare molto, noi che spesso ci lamentiamo di tutto ed andiamo in crisi e in depressione anche per motivi tutto sommato futili.

Il libro più bello che ho letto fin’ora in quest’ottica è stato scritto da un avvocato milanese, Enea Fergnani, deportato a Mauthausen dove con altri ha costituito un comitato clandestino di Resistenza interna al lager. Fergnani in “Scordatevi di esser vivi” ci insegna quanta forza ci può essere in noi, lui che nel lager, costretto sdraiato sulla costola rotta, incastrato tra i corpi nudi dei compagni, sentendosi impazzire si è chiesto “Impazzire… per cosa? Per questo??!” E ha saputo calmarsi e riprendere il controllo del proprio corpo e della mente. Quanta forza. E noi?

Credo che il miglior modo per celebrare il Giorno della Memoria e rendere omaggio ai nostri deportati non sia tanto ascoltare le loro testimonianze o leggere qualche libro con le loro storie quanto imparare da loro. Imparare a trovare dentro di noi la forza – che c’è! – il coraggio e l’altruismo che hanno avuto loro e difendere, noi, quella libertà che loro hanno pagato a così caro prezzo.

Renata Pasquetto e Giancarlo Restelli

–      I deportati di Legnano nei lager nazisti

https://www.youtube.com/watch?v=g3-KFi7rhbM

Giorno della memoria 2015

Nel Giorno della Memoria (27 gennaio) ricordiamo soprattutto i sei milioni di ebrei morti nei ghetti, di fame  e malattie, fucilati a centinaia di migliaia sull’ orlo di fosse collettive, uccisi a milioni nelle camere a gas di Treblinka, Sobibor, Belzez e soprattutto Auschwitz. Tra di loro bambini, donne, uomini e vecchi di ogni nazione europea. Il 27 gennaio del 1945 il lager di Auschwitz fu liberato dall’esercito sovietico, nei mesi successivi, soprattutto tra l’aprile e i primi di maggio del ’45 furono liberati tutti gli altri lager. In genere quando si pensa ai lager nazisti si crede che la deportazione abbia riguardato solo gli ebrei di tutte le nazionalità europee, in particolare gli ebrei polacchi, russi e del resto dell’Europa orientale. Non è così.

L’Italia per esempio ha avuto una deportazione imponente dal 1943 alla fine della guerra. Dopo l’armistizio dell’8 settembre del ’43 i soldati tedeschi catturarono 650.000 militari italiani allo sbando e li trasferirono in strutture che divennero campi di lavoro forzato (stalag). Molti civili vennero rastrellati e condotti nel Reich a lavorare come schiavi (circa 120mila). Mentre i partigiani e gli operai in sciopero vennero deportati nei Kz, ossia nei campi di concentramento veri e propri, per lavorare fino allo sfinimento e poi essere uccisi.

Sono lager dal nome sinistro: Dachau, Buchenwald, Mauthausen, Ravensbruck, Flossenburg… da qui passarono ben 24.000 italiani e coloro che furono uccisi raggiunsero il 40%. Fame, percosse, lavoro forzato senza limiti, malattie sono alla base di questa fortissima mortalità.

E poi c’è il capitolo della “Shoah italiana” con circa 8.000 cittadini italiani di origine ebraica che vennero deportati quasi tutti ad Auschwitz e morirono in gran numero. Quindi in totale furono circa 800.000 gli italiani che furono deportati in Germania, ma anche in Austria, in Polonia. Ottocentomila uomini con alcune migliaia di donne. Una deportazione imponente, forse ancora oggi non del tutto conosciuta. Soprattutto è ancora debole la memoria degli IMI, cioè dei militari italiani catturati e deportati dopo l’8 settembre. Ma anche dei lavoratori coatti si sa poco nulla a livello storiografico.

La deportazione ha toccato in forme esasperate anche l’area dell’Alto Milanese. Da circa un anno stiamo conducendo all’interno dell’Anpi di Legnano una ricerca sui deportati dell’Alto Milanese e per ora sono emersi dati che ci hanno sorpresi. La deportazione da Legnano ha riguardato una quarantina di persone, in prevalenza operai delle grandi fabbriche dell’epoca. A Busto Arsizio addirittura i deportati furono una cinquantina, anche qui con una netta prevalenza dell’elemento operaio.

Due episodi sono particolarmente significativi. Mi sto riferendo ai fatti del 5 gennaio 1944 alla Tosi di Legnano e del 10 gennaio dello stesso anno alla Comerio di Busto Arsizio. Alla Franco Tosi lo sciopero andava avanti da mesi mettendo in difficoltà la produzione bellica tedesca che aveva nella Tosi un punto di riferimento. Per porre fine agli scioperi e riportare tutti gli operai legnanesi in fabbrica nel primo pomeriggio del 5 gennaio di 69 anni ci fu l’irruzione di una cinquantina di SS ben armate nel cortile della Franco Tosi con l’obiettivo di terrorizzare gli operai e riportarli al lavoro.

Ma c’era anche un altro obiettivo: arrestare i membri della Commissione interna e gli operai più in vista per separare gli elementi più attivi dal resto degli operai. La stessa tecnica militare cinque giorni dopo a Busto  Arsizio quando vi fu un’irruzione ancora di SS nella Ercole Comerio con l’arresto e la deportazione di sei operai, quasi tutti membri della Commissione interna. I nazisti credevano che riportando l’ordine nelle due fabbriche simbolo di Legnano e Busto Arsizio sarebbe tornata la calma. Invece solo due mesi dopo le fabbriche del legnanese e di Busto furono agitate da nuovi scioperi che coinvolsero tutta l’Italia del Nord. Sono i grandiosi scioperi  del marzo del ’44 che non hanno equivalenti nell’Europa occupata.

La miseria quotidiana, le privazioni, la stanchezza per la guerra sono alla base degli scioperi. Altri arresti e deportazioni avvennero in questi momenti a Legnano e Busto. I motivi che provocarono le proteste operaie erano molteplici, ma uno in particolare ebbe il potere di scatenare le grandi masse: la fame.

La stragrande maggioranza della popolazione lavoratrice era costretta ad alimentarsi con razioni fra le più basse d’Europa. Ogni italiano riceveva appena 150 grammi di pane al giorno contro i 224 del Belgio e i 290 della Germania, mentre la razione base di carne ammontava a 100 grammi la settimana.

Queste dosi non rappresentavano che la metà di quanto era necessario per vivere e a volte anche queste misere quantità non venivano distribuite. I salari erano bloccati nonostante che dal 1940 i prezzi continuassero a salire a dismisura e ovunque prosperasse la borsa nera. Dove vennero deportati gli scioperanti dell’Alto Milanese? Non vennero portati nei campi di lavoro per militari e civili dove la possibilità di sopravvivere era relativamente alta.

Vennero deportati in alcuni terribili strutture come Mauthausen in Austria per morire dopo essere stati sfruttati fino all’ultimo. Per dare un’idea di che cosa è stato Mauthausen bastano queste poche cifre: dal 1938 al ’45 furono deportate 200.000 persone di tutta l’Europa con 105.000 morti: addirittura poco più del 50%. Ma questa percentuale rischia di essere troppo bassa per i nostri lavoratori. Degli otto operai deportati della Tosi il 5 gennaio del ’44, sette morirono a Mauthausen e sottocampi.

Degli operai arrestati e deportati in occasione degli scioperi del marzo ’44 nessuno fu liberato: tutti morirono (erano 14) nel KZ Mauthausen. In sostanza su poco meno di 40  nomi di legnanesi di cui conosciamo la data dell’arresto e i percorsi da un lager ad un altro, i sopravvissuti furono una dozzina. Quali insegnamenti trarre da queste vicende tragiche? Il primo è legato alla memoria. Non possiamo relegare queste persone in un angolo buio e dimenticarle. Le loro sofferenze, le sofferenze delle loro famiglie, meritano il rispetto del ricordo.

Il secondo insegnamento è legato a un’idea di giustizia sociale che li espose al rischio delle deportazioni. Non era facile scioperare con i tedeschi in casa e i fascisti pronti alla repressione di qualunque forma di dissenso. Eppure ci furono gli scioperi, le proteste, talvolta con le donne in prima linea.

La fermezza, il desiderio di giustizia, il coraggio di quei giorni devono essere ancora oggi momento di riflessione.