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La guerra civile nella Resistenza italiana

La guerra civile / Turbigo / 24 aprile ‘17

Premessa
Devo dire che quando ho ricevuto la telefonata di Giuliano in cui mi si invitava a preparare una relazione sulla guerra civile in Italia nel periodo ’43-45 credevo di aver capito male.
Ricordo anni fa un paio di discussioni tra il sottoscritto e una persona importante nell’Anpi della zona in cui abito il cui tema era la negazione del carattere di guerra civile della lotta resistenziale.
La risposta che mi era stata data era tutto sommato semplice: i fascisti schierandosi a fianco dell’odiato tedesco hanno perso la qualifica di italiani! A me sembrava invece una posizione moraleggiante. Sia che avessero ragione o meno i fascisti erano italiani in lotta contro altri italiani.
Non so quale sia la posizione dell’Anpi nazionale ma è sicuro che dopo il fondamentale saggio di Claudio Pavone, “Una guerra civile. Saggio sulla moralità nella Resistenza” del 1991, è difficile continuare a negare la guerra civile tra italiani nel biennio ’43-45. E’ inutile dire chi è stato Pavone: partigiano e poi professore universitario e attento studioso della Resistenza con opere di grande valore storico-documentario.
Sarebbe importante imparare da chi ha dedicato alla ricerca tutta la sua vita e uscire da posizioni preconcette purtroppo oggi ancora molto diffuse.

Il lungo periodo della guerra civile / 1919-1947
L’espressione guerra civile ha incontrato ostilità e reticenza da parte degli antifascisti finita la guerra fino al punto da essere usata solo dai neofascisti.
Il motivo è semplice: parlare di guerra civile, questo era il timore, sembrava quasi confondere le due parti in lotta e appiattirle sotto un giudizio di condanna o di assoluzione. Per i neofascisti al contrario l’espressione guerra civile dava dignità alla loro lotta e la legittimava.

Eppure durante la guerra nel biennio ’43-45 è stata combattuta una guerra tra italiani divisi per ideologia e posizioni avverse su quanto stava accadendo: i partigiani a fianco degli anglo-americani e i fascisti a fianco dei tedeschi.
La lotta ebbe episodi di particolare crudeltà tipici di ogni guerra civile. Se durante la guerra sono prevalentemente i partigiani e gli antifascisti a soffrire la reiterata violenza dei fascisti, finita la guerra si scatena la vendetta partigiana che si prolunga fino almeno alla metà del ’47 con circa 10-12.000 fascisti uccisi senza processo o dopo processi sommari.
A questo punto possiamo in sede storica parlare di guerra civile dal settembre del ’43 fino alla metà-fine ’47, con fasi diverse.
Non dimenticando il Biennio Rosso del ’19-20 fino alla Marcia su Roma del ’22 (contrapposizione violenta tra primo fascismo e sinistra italiana) si potrebbe estendere la categoria di guerra civile all’intero periodo 1919-1947.
Per ragioni di tempo vedremo solo la guerra tra italiani negli anni della Resistenza.

E’ doveroso dire che la categoria “guerra civile” non appiattisce tutto in una generica e reiterata violenza in cui tutti sono colpevoli. E alla fine se tutti sono colpevoli, nessuno è colpevole!
E’ invece necessario sostenere con forza che chi si è schierato con la Resistenza era dalla parte giusta, chi invece si è schierato con il fascismo repubblicano, anche in buona fede, era dalla parte sbagliata. Su questo non ci sono dubbi. Ma tutto ciò non ci esime dalla necessità di capire quanto è accaduto.

La guerra civile finita la guerra
Finita la guerra il tabù guerra civile era meno forte di oggi. Emilio Sereni (comunista) al primo congresso del CLN di Milano (agosto ’45) parla dei “due anni di guerra civile”. Nel ’47 Carlo Galante Garrone (intellettuale antifascista) afferma che era stata combattuta una “sanguinosa guerra civile”. Leo Valiani aveva detto che l’”inferocimento degli animi è il pericolo più recondido in ogni guerra civile”. Aligi Sassu dipinse il quadro “La guerra civile 1944” (FOTO).
Potremmo continuare a lungo. Giorgio Bocca ritenne sempre legittima l’idea che italiani combatterono contro altri italiani.
Ma nel volume delle “Opere” di Togliatti relativo agli anni 1944-45 l’espressione guerra civile non compare mai. Si dà largo spazio all’interpretazione ancora oggi corrente di “guerra di liberazione” o “guerra patriottica” a imitazione della guerra sovietica contro il nazismo.
Anche nel Pd’A non è mai stato utilizzato il termine guerra civile preferendo l’espressione “rivoluzione democratica”.

Dall’altra parte ci furono voci che negarono la legittimità dell’espressione “guerra civile”, ossia che anche i fascisti, nonostante tutto, fossero italiani.
Potremmo citare il comandante cattolico Ermanno Gorrieri il quale disse che “guerra civile non ci fu” perché i fascisti si affiancarono agli stranieri: quindi i fascisti erano “stranieri” in patria. Chi si mette con lo straniero perde automaticamente la sua qualifica di membro di un popolo. Diventa “traditore”, “rinnegato”.

Se fosse così ne discende che la Repubblica nata dalla Resistenza è nata sull’opposizione antitedesca e non combattendo il fascismo (italiano).

Stesse resistenze a non riconoscere il temine guerra civile in Francia: si usò l’espressione “guerres franco-francaises”. Anche in Jugoslavia si nega la guerra civile nonostante l’evidenza. La stessa cosa gli spagnoli al tempo della guerra contro Napoleone: non usano guerra civile dimenticando che al tempo (inizio Ottocento) c’erano gli “afrancesados”.
Il non uso di guerra civile al posto di “movimento di liberazione nazionale” ha anche impedito di vedere all’interno dei popoli coloniali che combattevano per la propria libertà (dopo la II guerra mondiale) la presenza di cruente lotte tra gruppi diversi per l’indipendenza oppure per il mantenimento del colonialismo (es. l’Algeria francese).

Nasce la guerra civile: la scelta
E’ nel trauma dell’8 settembre che nasce la prima contrapposizione tra italiani. Sappiamo quanto avvenne in questa vera e propria data spertiacque nella guerra italiana.
I soldati che abbandonati a se stessi dai propri comandanti buttano le armi e si spogliano delle divise fu un evento che scosse chiunque indipendentemente dalle scelte che poi ciascuno fece. Labari, mostrine, bandiere nei fossi e calpestate come stracci impressionarono tutti, anche chi non veniva da esperienze nell’esercito. E poi l’umiliazione di vedere talvolta due soldati tedeschi (proprio due!) che disarmavano una caserma intera che non aspettava altro che arrendersi.

8 settembre: l’esercito allo sbando
Futuri partigiani e futuri fascisti repubblicani sono concordi nei giudizi sull’8 settembre:
– “Indecoroso e triste spogliarello”, Eraldo Gastone (“Ciro”), futuro comandante delle formazioni dell’Ossola
– “Ho dovuto assistere a scene che mi hanno fatto vergognare di essere italiano”, giovane arruolatosi nella X Mas

8 settembre: fuga del re
Stessi giudizi sull’8 settembre: futuri fascisti e futuri partigiani che accusano il re di tradimento, di fellonìa, di irresponsabilità di fronte ai propri doveri. Dallo sfascio dell’8 settembre nasceva l’imperativo di ricostruire l’Italia e ridarle il proprio ruolo o una nuova identità.
E poi il ricordo dei morti era tale da orientare la scelta di quei giorni. Sia da parte fascista e antifascista è ricorrente il dolore per i soldati morti sui vari fronti ma soprattutto la domanda: “Per chi sono morti ora che tutto è sfasciato?”.
Vendicare i morti è lo slogan di giovani che stanno orientando nei due sensi la loro scelta. Nuto Revelli chiama “Campagnia rivendicazione caduti” il suo primo raggruppamento partigiano. I fascisti fanno lo stesso per vendicare i loro caduti (“Mai morti”, Decima Mas).

Onore e patria da difendere
Sintetizza bene questi principi un giovane soldato di Legnano (Renato Galliverti) che poi scelse Salò: “Aderii immediatamente alla Rsi per dignità, onore e coerenza. Per me non poteva essere né concepibile né comprensibile tradire i nostri alleati e il fascismo solo perché le fortune belliche ci avevano messo in ginocchio. Un uomo può accettare la resa, l’armistizio, la spada di Brenno ma non certamente di diventare un giuda né sputare sugli ideali e sulle tombe dei commilitoni nazionali o alleati”.
Dignità, onore, coerenza contro il Tradimento. Difesa dell’onore dei camerati morti in guerra per un’Italia che li ha traditi. Difendere l’onore della patria e nello stesso tempo l’onore degli italiani ora che Gobbels chiamava gli italiani “un popolo di zingari”.
Disse poi Marcello Zanfagna, milite volontario nella Rsi: “Pensavo che una guerra si può anche perderla, ma si deve perdere con onore; che non si passa da una trincea all’altra dall’oggi al domani; che non si tradiscono i morti per ingraziarsi i vivi che vincono; che non si tradisce la parola data; che non si può dire a chi ha creduto a una causa e per essa si è battuto ”abbiamo scherzato, mettiamo da quest’altra parte”. Non era più questione di fascismo o di antifascismo, di Re o di Duce, ma solo questione d’Italia”.
Se vogliamo studiare e capire la storia non possiamo buttare alle ortiche queste riflessioni, anche se vengono dalla parte avversa.
Potremmo citare i sarcastici versi di Curzio Malaparte nel romanzo “La pelle”:“Un magnifico giorno (l’8 settembre). Tutti noi ufficiali e soldati facevamo a gara a chi buttava più eroicamente le armi e le bandiere nel fango… Finita la festa, ci ordinammo in colonna e così senz’armi, senza bandiere, ci avviammo verso i nuovi campi di battaglia, per andare a vincere con gli Alleati questa guerra che avevamo già persa con i tedeschi… E’ certo assai più difficile perdere una guerra che vincerla. A vincere una guerra sono tutti buoni, non tutti sono capaci di perderla”.
Ancora (autorevole voce antifascista): “Tutte le strade si coprirono di sbandati che portavano da un capo all’altro della penisola l’immagine vivente dell’umiliazione e della sconfitta… I soldati che nel settembre traversavano l’Italia affamati e seminudi volevano soprattutto tornare a casa” (Giaime Pintor).

Sequenza da “Tutti a casa”, soldati senza divisa

Non era facile scegliere
C’è però un aspetto importante da tenere in considerazione. Non era facile scegliere quale delle due parti stare. Gli ondeggiamenti e i passaggi da una parte all’altra furono una costante dei 20 mesi di lotta resistenziale.
Disse Nuto Revelli: “Se nella notte del 25 luglio mi fossi fatto picchiare, oggi sarei dall’altra parte. Mi spaventano quelli che dicono di aver sempre capito tutto, e che continuano a capire tutto. Capire l’8 settembre non era facile!”
“Basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell’anima, e ci si trova dall’altra parte”, dice il partigiano Kim ne “Il sentiero dei nidi di ragno”, Italo Calvino.

Quando nacque la guerra civile?
Stabilire chi abbia sparato il primo colpo non è operazione di particolare importanza. In ogni caso gli antifascisti volevano subito mostrare di essere pronti a combattere e nello stesso tempo il fascismo repubblicano di essere tornato più forte di prima.
I primi a parlare di vendetta sono i fascisti (Pavolini, Vittorio Mussolini dalla Germania) contro chi aveva fatto cadere il regime con il 25 Luglio. Anche Mussolini nel suo primo messaggio dalla Germania (dopo la liberazione dal Gran Sasso) usa l’espressione “vili traditori”.
Tradimento e vendetta sono i sentimenti più diffusi tra i fascisti che hanno visto impotenti il crollo del regime con il 25 luglio e il crollo dello stato con l’8 settembre con il tradimento nei confronti dei tedeschi. Tradimento del re e Badoglio da lavare con il sangue e vendetta contro i tiepidi fascisti che non hanno reagito dopo il 25 luglio e contro tutti gli antinazionali, i “venduti allo straniero”, ossia gli italiani che auspicano l’arrivo degli anglo-americani.
Fenoglio (“Partigiano Jonny”) traccia l’identikit del fascista post 8 settembre:“Durante la guerra non era stato particolarmente acceso… ma dopo l’8 settembre cambiò, s’infuriò, eruttò, fu tra i primi fascisti e più determinati e sanguinari”. Da notare che il tenente X è fratello del partigiano Kira (se non è guerra civile questa!).

Eppure dopo le prime settimane dall’8 settembre i neofascisti repubblicani manifestarono “sinceri desideri di pacificazione” (Pavone), forse perché stavano riorganizzandosi, forse perché la presenza tedesca in Italia non era ancora stabile oppure perché sconcertati da un fenomento per molti versi del tutto nuovo, ossia gruppi di uomini in armi sulle montagne.
Ci furono abboccamenti e addirittura accordi tra autorità fasciste e comandanti partigiani a livello locale per non attaccarsi oppure per non coinvolgere i civili. Era la prima volta dopo il Biennio Rosso che italiani in armi si confrontavano con italiani in armi.
Ci pensò il ministro alla propaganda della Rsi, Fernando Mezzasoma, a chiudere ogni ipotesi alla pacificazione ordinando ai giornali di non pubblicare più appelli alla “concordia degli spiriti”. E poi nel neo fascismo della RSI è prioritario l’orgoglio di mostrarsi combattivi di fronte al camerata tedesco e soprattutto di essere diversi rispetto al burocratico e anchilosato fascismo del ventennio (“Ma che cos’era questo fascismo che si è sciolto come neve al sole”, chiese Hitler a Mussolini nel loro primo colloquio dopo la liberazione dal Gran Sasso).

Il Congresso di Verona e la strage di Ferrara
Il Congresso di Verona (14 novembre del ’43), atto fondativo della RSI, segnò la svolta decisiva verso la guerra civile. Espressione di uno stato d’animo volto alla violenza è la strage di Ferrara (metà novembre) per rappresaglia all’uccisione del federale Ghisellini.
Il regista della strage e del nuovo volto truculento del fascismo repubblicano è Pavolini il quale il 26 luglio del ’44 (un anno dopo il 25 luglio) creò le Brigate Nere per la lotta contro il ribellismo partigiano. Anche questa decisione andò nella direzione della guerra civile.
Alla guerra civile parteciparono anche le truppe regolari di Graziani in particolare le quattro divisioni allestite in Germania e poi occupate esclusivamente o quasi nella lotta antipartigiana.

Il fallimento della “pacificazione”: i nemici
Quattro sono le forze che si contrappongono caparbiamente a ogni forma di conciliazione: i tedeschi, i fascisti intransigenti (Pavolini, Farinacci, Borghese e tanti altri); dall’altra gli anglo-americani e i comunisti. Un insieme di forze assolutamente determinate!
I comandi tedeschi premevano per un maggior ruolo delle forze armate della Rsi nella lotta contro i “banditi”. La stessa cosa gli anglo-americani che contavano sull’aiuto prestato dalla Resistenza armata nella conquista del territorio italiano. Dall’altra parte i comunisti iniziano una febbrile attività di attentati mettendo in una condizione di debolezza chi predicava la concordia di fronte alla patria invasa e favorendo implicitamente le rappresaglie dei fascisti intransigenti.

Tappe della guerra civile
– Il primo atto della guerra civile è l’uccisione del federale Ghisellini a Ferrara durante il congresso di Verona, novembre ‘43: la successiva vendetta (15 novembre, 11 fucilati a Ferrara) rappresenta la pietra tombale di ogni ipotesi conciliazionista. Probabilmente Ghisellini (moderato) fu vittima di una faida interna.
– Il 18 dicembre ‘43 alcuni gappisti a Milano sparano e uccidono il federale Resega, colui che secondo De Felice voleva ridimensionare la presenza a Milano della Muti (Franco Colombo). La reazione è barbara: otto fucilati per rappresaglia
– il 28 dicembre ‘43 furono fucilati al poligono di Reggio Emilia i sette fratelli Cervi. Erano nelle mani dei fascisti da più di un mese. A far decidere la fucilazione fu l’assassinio pochi giorni prima del segretario comunale di Bagnolo al Piano, Vincenzo Onfiani (aveva solo la tessera del fascio)
– 23 marzo del ’44 a Roma un reparto di Gap provoca la morte di 33 tedeschi (attentato di via Rasella). La reazione tedesca prevede 335 fucilati alle Ardeatine. Tra di loro il meglio della Resistenza romana: comunisti, militanti di Stella Rossa ed ebrei italiani con semplici cittadini
– L’8 agosto ’44, una bomba a Milano contro un camion tedesco provoca la morte di sei passanti più numerosi feriti. Un solo tedesco ferito. Il comando tedesco ordina alla “Muti” di fucilare 15 antifascisti prelevati dalle carceri. La fucilazione avviene il 10 agosto a Piazzale Loreto. Per ritorsione 30 fascisti sono fucilati (queste reciproche vendette fanno parte della guerra civile).

Da notare che il terrorismo non appartiene assolutamente alla storia del movimento operaio (Marx-Lenin) e del primo partito comunista d’Italia (Bordiga e Gramsci). Il terrorismo è sempre stato utilizzato dal movimento anarchico e da frange piccolo-borghesi di fronte allo Stato e alle sue componenti. Ma ora i vertici del Pci (Longo, Secchia, Amendola, Roasio…) lo utilizzano come strumento politico incuranti delle ritorsioni e delle rappresaglie di nazisti e fascisti.

La guerra civile: l’odio
L’odio, tenace, violento, è il portato più evedente di ogni guerra civile. Beppe Fenoglio, “I ventitrè giorni della città di Alba” (“Racconti della guerra civile”). Due partigiani dialogano:“So solo che se noi di qua pigliamo un tedesco, invece di ammazzarlo finiamo di tenerlo come uno dei nostri. I fascisti di là, se beccano un inglese o un americano, qualche sfregio certo gli faranno, ma ammazzarlo non lo ammazzano. Ma se invece ci pigliamo tra noi, niente ti salva più, e se cerchiamo di spiegare che siamo fratelli ci ridiamo in faccia”.
A una nuova recluta delle formazioni Stella Rossa il comandante chiede: “Qual è la tua idea?” “Quella di ammazzare i fascisti… Sufficiente, per cominciare è sufficiente”.
Scrisse Concetto Marchesi: “La guerra civile: la più feroce e sincera di tutte le guerre”.
L’odio è particolarmente tenace perché fascisti e partigiani spesso si conoscono, hanno frequentato le stesse scuole, ci sono spesso legami di parentela… R. Battaglia: “Parlare la stessa lingua significava avere continue informazioni l’uno dell’altro, esserci continuamente di fronte. Tutta una fitta rete di legami univa i partigiani a questo nemico; chi portava le armi nella banda conosceva personalmente chi nel paese collaborava in un modo o nell’altro con la Repubblica sociale”.

I comunisti additano come oggetto di odio il tedesco sempre per dare una dimensione nazionale alla lotta di liberazione, caso mai liberazione dal nazifascismo ma non solo dal fascismo.
A livello periferico però l’odio nei confronti dei fascisti traligna spesso. Il Comando dei Gap di Modena dice che i fascisti “sono traditori al servizio dello straniero e bisogna bollare a fuoco questa vergogna di carne venduta”. Addirittura in alcuni documenti si mette in evidenza la maggior “correttezza” dei tedeschi che evitano stragi e rappresaglie rispetto ai fascisti assetati di sangue.
Avevano buon gioco i tedeschi a dirottare sui fascisti l’odio popolare. Esempio Piazzale Loreto, 10 agosto del ’44: la strage voluta dai tedeschi è eseguita da reparti della Muti.

Canzone Guccini, “Lassù in collina”

Negare l’avversario: i fascisti
Il fascismo repubblicano nega all’avversario qualunque legittimità. In una memoria si dice che i partigiani prigionieri apparivano “di una specie di noi con segno opposto”. Mazzantini (“A cercare la bella morte”) se li era immaginati “diversi”, ora gli appaiono “quasi banali”.
Espressioni quali “banditi”, “sicari al soldo del nemico”, “bastardi” (razzialmente impuri) negavano ogni dignità dell’avversario il quale doveva essere annientato e non solamente messo nella condizione di non nuocere. Anche l’espressione “comunisti badogliani” li metteva in unico calderone visti come espressione dello straniero: Russia e America. In ogni caso i partigiani e gli antifascisti erano elementi “anti italiani” all’interno.
Un esempio: “Non è lecito chiamare fratricida la lotta contro chi attenta alla vita e all’onore della patria. Non è fratello chi rinnega la madre e le spara addosso. Questa torva masnada di spioni e di sicari al soldo del nemico. Figli di cani sì! Ma italiani no! (da articoli del giornale delle B. Nere).
Negazioni reciproche e forme totale di esclusione sono caratteri che acquista la guerra civile in Italia con un di più di violenza perché questi italiani gli uni contro gli altri spesso si conoscono, hanno frequentato le stesse scuole, sono cresciuti insieme fino ad arrivare al paradosso di famiglie spaccate con un figlio tra i partigiani e l’altro con i fascisti mentre un terzo non prende posizione tra i due.

La battaglia nel campo di grano, in “La notte di san Lorenzo”

La negazione dell’altro poteva arrivare a definizione di tipo animalesco: “Repubblichino di nome e immutato nella sostanza, più bestiale di prima, più incapace e incoerente, insussistente se non in atti di feroce repressione: un accolta di violenti e dissennati, oggetto di scherno e della più esacerbata esecrazione”.
Poteva capitare anche di esprimere il desiderio di farla finita in quanto guerra che poteva apparire ingiustificabile.
Un giovane paracadutista scrive ai genitori: “Io stesso vorrei andarli a trovare i partigiani per fare una bicchierata e dire loro che dobbiamo unirci per cacciare prima i veri invasori che sono inglesi, americani e compagnia, poi i tedeschi se non volessero andarsene”. Questi atteggiamenti non erano poco diffusi ed è probabile che si trovassero anche tra i partigiani.

Anche nella canzone “Le donne non ci vogliono più bene”, simbolo della Rsi, compare il tema della guerra civile nella lotta implacabile contro chi ha negato la Patria e combatte con lo straniero.

Le donne non ci vogliono più bene
https://www.youtube.com/watch?v=MC08zAISOeo

Negare l’avversario: gli antifascisti
Dall’altra parte i partigiani fanno la stessa cosa: negano che i fascisti siano italiani perché sono alleati dei tedeschi, quindi servi dello straniero e fautori della barbara dell’occupazione nazista senza contare che la guerra l’ha voluta il fascismo.
Si ondeggia tra riconoscimento e negazione del carattere di guerra civile. Il CLN in ottobre ’44 rigetta su Mussolini la responsabilità degli “orrori della guerra civile”. Sono i fascisti a “mandare spesso a combattere contro i Patrioti dei giovani che sono anima della nostra anima, sangue del nostro sangue”. Anche l’”Avanti!” parla diffusamente di guerra civile e con il quotidiano socialista anche esponenti del Pd’A.

La guerra civile: i cattolici
La guerra civile non fu negata neppure dai cattolici i quali cercarono mezzi e strategie per evitare bagni di sangue tra italiani (Schuster a Milano durante i giorni della insurrezione) e il Vaticano autorizzò cappellani sia tra i brigatisti neri sia tra i partigiani; esempio don Tullio Calcagno (“Crociata italica” di Cremona) e don Aldo Moretti con le brigate Osoppo.
Teresio Olivelli a cui dobbiamo l’espressione “Ribelli per amore”, il cattolico combattente Alfredo Di Dio, Giuseppe Dossetti accanto ad altri temperamenti come padre Eusebio Zappaterreni, cappellano delle Brigate Nere sono espressione della duplicità dell’intervento cattolico nella guerra civile. Senza dimenticare la grande maggioranza dei cattolici che attese pazientemente che le due frange di italiani cessassero di scannarsi e arrivassero i liberatori.

La “Zona grigia”
In mezzo c’è la “zona grigia” degli incerti, rassegnati, indifferenti bollati da tutte e due le parti con parole aspre e piene di disprezzo.
La “zona grigia” viene avversata da entrambi i contendenti. Se la repressione si scatena contro di loro, poco male. Anzi sarà l’occasione per avere il loro contributo militare. Per i saloini gli italiani sono traditori: dopo le adunate di massa del Ventennio ora si schierano dalla parte dei vincitori!
Anche qui sarebbe opportuno uscire dagli stereotipi dell’epoca e vedere in questi italiani sfortunati travolti dalla guerra non degli “imboscati” come nella canzone fascista o in altre canzoni partigiane ma povere persone che in epoche tristissime fecero fatica a decidere da che parte stare, anche perché il primo obiettivo era la sopravvivenza materiale e quotidiana.
Oggi si una il temine “Resistenza civile” per coloro che “stavano alla finestra”. In realtà non fu così perché molti collaborarono in forme varie sia con i partigiani sia con i repubblicani, talvolta aiutando gli uni e gli altri.
Per esempio una parte della Resistenza cattolica sfumò verso la “zona grigia” pur muovendosi in un’ottica antifascista ma non armata

Conclusione
Quale riflessioni maturare su quanto detto?
1) Non è nostro compito favorire o meno la “pacificazione nazionale” tra fascismo e antifascismo, ossia l’equiparazione tra partigiani e fascisti (magari con il pagamento delle pensioni ai militari della Rsi per il servizio militare prestato dal ’43 al ’45). Le opposte memorie sono ancora oggi molto vive e non è facile abbattere stereotipi e grossolanità.
2) Il nostro obiettivo deve essere più semplice ma nello stesso tempo più efficace: dare la priorità alla STORIA, ossia alla comprensione e conoscenza dei fatti. Sarebbe già un grande passo in avanti: conoscere senza pregiudiziali e non solo lanciare anatemi da una parte e dall’altra
3) La feroce guerra tra fascisti e antifascisti fu una costante dei venti mesi di guerra resistenziale. Italiani contro italiani in nome di ideologie divergenti, desideri di rivalse e vendette, diverse idee di una futura Italia. Ma c’era chi aveva la ragione della storia dalla sua parte e chi invece uccideva e moriva per la vittoria della futura Europa nazificata.
4) Non dobbiamo quindi commettere l’errore di pensare che tutti furono corresponsabili di una lunga stagione di morte. Tutti nell’errore, nessuno ha errato!

Le masse popolari (operai e contadini) stavano con i partigiani; la piccola borghesia e gli industriali (i “padroni”) stavano invece con il fascismo: solo questo dovrebbe bastare per distinguere le ragioni dal torto.
Passo di Calvino ne “I sentieri dei nidi di ragno”. Discorso di Kim

Finale con “Pietà l’è morta”, Modena
https://www.youtube.com/watch?v=XGxbGfZA2nY