Quando a invadere l’Ucraina siamo stati noi

Gli italiani in Russia (1941-1943)

La campagna di Russia è sempre stata oggetto di un racconto a metà. In sintesi è come se fosse stata raccontata solo la ritirata e non l’andata.

Il racconto della ritirata permetteva una narrazione in cui gli italiani erano vittime delle circostanze di una guerra sfortunata.

La ritirata permetteva anche un racconto ricco di gesta eroiche, di sacrifici, di profonda pietà per le vittime nascondendo il disastro militare della ritirata dal Don e la guerra fascista.

Nessun commentatore ha mai messo in luce che gli italiani erano invasori e non vittime.

Ci aiuta in questa decostruzione della campagna di Russia un libro edito nel 2009 di Thomas Schlemmer, “Invasori, non vittime” nel quale l’autore mette in evidenza ciò che in Italia nessuno ha mai narrato.

  • le motivazioni imperialistiche di Mussolini e della classe dirigente fascista
  • il plauso degli ambienti industriali e bancari perché le conquiste avrebbero arricchito molti
  • il ruolo della chiesa italiana che benedice le armi
  • le draconiane disposizioni dei comandi italiani nella lotta antipartigiana
  • le violenze e le sopraffazioni dei soldati italiani nel ’41 e nel ’42 ai danni della popolazione civile, anche durante la ritirata

E’ un libro contrario a quel mito deleterio che accompagna gran parte delle ricostuzioni storiche del secondo conflitto secondo il quale gli italiani hanno fatto una guerra sfortunata rispettando sempre le popolazioni, anzi mostrando loro simpatia e bonomia. “Italiani, brava gente”, come in questo passo di Arrigo Petacco:

** Lettura, p. 81

Vediamo prima il contesto storico in cui avviene la campagna di Russia.


Hitler invade l’Urss
Non c’è stato storico che abbia affrontato queste vicende che non si sia chiesto quali siano stati i motivi che hanno spinto Hitler e Mussolini a volere l’invasione del territorio sovietico e che per entrambi sarà l’inizio della fine. Alcuni se la sono cavata dicendo che è stata follia o semplicemente un errore l’idea della conquista dell’Unione Sovietica. Le cose non stanno così.


All’inizio dell’estate del ’41 la Germania deve fare i conti con l’imprevista resistenza della Gran Bretagna nonostante la resa fulminea della Francia. C’è il rischio di un maggior coinvolgimento nel conflitto degli Stati Uniti fino all’impegno diretto nella guerra. Ad est incombe il pericolo russo nonostante il Patto di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica firmato nell’agosto del ’39.

La guerra contro il bolscevismo quindi ha per la dirigenza nazista più significati:
– conquistare l’Unione Sovietica e mostrare un’altra volta al mondo l’efficacia dell’esercito tedesco
mettere le mani sulle enormi risorse del paese: petrolio, ferro, carbone, grano e decine di milioni di uomini (in realtà “sottouomini” per i nazisti) da schiavizzare
convincere la Gran Bretagna a scendere a patti dopo la vittoria su Stalin
– far fare alla Germania un grande salto di qualità e mantenere gli Stati Uniti fuori dalla guerra


Quindi l’ “Operazione Barbarossa” non fu un qualcosa di avventato e improvvisato. Hitler era consapevole dei rischi ma anche delle opportunità che ne sarebbero derivate dalla vittoria.


Le motivazioni di Mussolini
Perché Mussolini decide di far partecipare l’esercito italiano alla spedizione in Russia? Anche qui una pluralità di motivi che dovevano sembrare “ragionevoli” alla classe dirigente politico-militare del paese:
finora l’esercito italiano aveva rimediato sconfitte o brutte figure a cominciare dalle operazioni nella Francia alpina per arrivare alla campagna di Grecia e nell’Africa settentrionale. Una vittoria avrebbe cambiato tutto
la guerra in Russia sarebbe stata breve e facile a causa delle difficoltà strutturali del paese e del suo esercito
– la vittoria non poteva non arridere alla superiore razza “ariana” (tedeschi e italiani) rispetto alla barbara razza slava
una parte delle enormi risorse sovietiche sarebbero state affidate all’Italia, comprese alcune zone di occupazione militare
– Mussolini non voleva che slovacchi, ungheresi o romeni (che avevano inviato forti contingenti) insidiassero lo stretto rapporto dell’Italia con la Germania
– Se l’Italia non partecipava alla spedizione avrebbe avuto un ruolo minoritario nel Nuovo ordine germanico dell’Europa

In realtà la spedizione in Russia fu un errore strategico perché le tre divisioni impegnate nelle pianure russe furono tolte al fronte africano favorendo così la riorganizzazione dell’esercito inglese dopo l’intervento dell’ ”Africa-Korps” di Rommel.

Gli italiani in Russia: il CSIR
Appena iniziata l’ “Operazione Barbarossa” è approntato il CSIR (Corpo di spedizione italiano in Russia). E’ composto da 58.000 uomini con 2.900 ufficiali.
Attestato all’inizio sul fiume Dniepr (Ucraina centale) l’obiettivo più importante per il CSIR (definito dal comando tedesco) è l’occupazione della zona industriale di Stalino nel bacino del Donec. La presa della città avviene il 20 ottobre ‘41 dopo aspri combattimenti.

Stalino oggi è Donets ed è (era) una citta nell’oblast di di Donetsk. Aveva allora una grande importanza perchè sede di miniere di ferro e carbone con grandi aziende metallurgiche. Nel ’41 è il premio che Hitler attribuisce a Mussolini per la partecipazione italiana.

Oltre a Stalino il CSIR controlla anche la città di Rykovo, sempre nel bacino del Donetsk. Anche in questo caso era un importante nodo produttivo.

Ma quando l’anno dopo l’esercito italiano si situa lungo il Don le autorità italiane possono controllare una grande area con 265 città e 476.000 abitanti che va dall’Ucraina orientale al Don.

In caso di vittoria l’area di influenza italiana si sarebbe espansain tutta questa area.


Il CSIR aveva dotazioni solo per una guerra breve che doveva risolversi nel corso dell’estate o al massimo del primo autunno. Una guerra di logoramento non era stata presa in considerazione. Infatti il corpo d’armata italiano, oltre alle croniche carenze nel vestiario pesante, ha scarso armamento e munizionamento, un parco-automezzi povero, scarsa disponibilità di carburante, pochi anche i treni-rifornimento dall’Italia.

Alla fine del mandato le perdite del CSIR erano rilevanti: 1.633 morti, 7.858 feriti e congelati, 410 dispersi.


Nella primavera del ’42 sta nascendo l’ARMIR, cioè l’Ottava Armata italiana in Russia, forte di 10 divisioni e 229.000 uomini.

La tragedia dell’ARMIR
L’Ottava Armata fu mandata sul Don nel quadro della nuova strategia di Hitler per l’estate 1942, che prevedeva un grande attacco sul fronte sud con obiettivo Stalingrado (nodo strategico delle comunicazioni russe) e il Caucaso (ricco di petrolio).

Questa volta è lo stesso Hitler a richiedere l’intervento italiano, ben consapevole della debolezza dell’esercito tedesco dopo le terribili perdite in uomini e materiali dell’anno precedente.
Ne faceva parte il Corpo di spedizione alpino con tre divisioni (“Tridentina”, “Julia” e “Cuneense”) attrezzato per i combattimenti in montagna (era prevista la zona del Caucaso). Finì come sappiamo, accanto ad altre divisioni italiane, lungo il Don.

Per gli alpini il problema non era solo di ordine psicologico (la pianura al posto della montagna): il loro armamento era funzionale ai combattimenti in montagna. Pensiamo solo all’ “effetto” dei loro cannoncini e mortai da montagna sulle corrazzature dei T43 russi!


Le divisioni italiane reggono 270 chilometri di fronte. C’è un fante ogni sette metri! Questa è la densità delle forze italiane. Ci sono anche una trentina di carri italiani ”L6/40”, “scatolette” da tre tonnellate, più leggeri di un camion, che non servono a nulla. Rispetto ai poderosi T34 sovietici (ventotto tonnellate) paiono il simbolo dell’inadeguatezza dell’esercito italiano. Non ci sono armi controcarro. L’artiglieria è superata, manca quella semovente e scarsa è la contraerea.
In realtà il Comando italiano non aveva lesinato sulle forniture: l’ARMIR venne armata con quanto di meglio allora era disponibile, considerando che era per l’Italia il terzo anno di guerra. Il problema di fondo era la debolezza dell’industria italiana rispetto alle concorrenti.

Inizia la ritirata
L’offensiva russa per togliere l’assedio a Stalingrado e circondare le truppe tedesche con una poderosa manovra a tenaglia causa la rottura del fronte del Don a partire dall’11 dicembre del ’42.
In una prima fase a essere travolto è il Secondo corpo d’armata italiano debolmente ancorato alle sponde del fiume. I temibili carri sovietici passano sulla superficie ghiacciata portando scompiglio nelle retrovie italiane, l’aviazione bombarda sistematicamente i gangli del sistema difensivo italiano e la fanteria, che segue nell’avanzata i carri, occupa le postazioni italiane.
Successivamente arriverà il momento della “Julia”, “Tridentina” e “Cuneense” a partire dal 17 gennaio ’43 quando il corpo d’armata alpino è già accerchiato. L’ordine di ritirata è arrivato tardi nonostante la palese differenza di movimento tra i nostri soldati a piedi e le rapide avanzate dei carri sovietici e delle truppe russe supportate dai partigiani.

La battaglia di sfondamento di Nikolajevka
Per aprire la via verso le retrovie italo-tedesche i soldati italiani dovettero combattere più volte contro forze maggiori. Celebre è la battaglia di sfondamento di Nikolajevka, iniziata il 25 gennaio del ‘43, il più famoso fatto d’arme della ritirata.

I russi aspettavano al varco. Si combattè alla disperata con l’obiettivo di evitare l’annientamento. I combattenti più solidi furono gli alpini con reparti tedeschi. Anche questa volta gli italiani passarono ma a prezzo di numerosissime perdite.

L’armata scomparsa / le “marce del davai”
Dei 229.005 uomini (dato ufficiale) che si trovarono a combattere nell’ARMIR circa 90.000 non fecero ritorno. Se si tiene conto che attorno a 5.000caddero per i fatti d’arme antecedenti all’11 dicembre1942 (inizio della controffensiva russa), le perdite della ritirata furono di 85.000 uomini, dei quali 25.000 morirono combattendo o di stenti durante la ritirata e 70.000 furono fatti prigionieri.


Solo circa 10.000 sopravvissuti furono restituiti dall’Unione Sovietica a fine conflitto!

Eppure in Italia nacque – grazie al PCI – il mito del bravo soldato russo che aveva in molti casi aiutato i soldati italiani. Non è così.

Dei 70.000 prigionieri, 22.000 non arrivarono neppure ai campi di prigionia, 38.000 morirono di fame di di freddo nei lager. Solo 10.000 tornarono a casa ma parecchi anni dopo il ’45.

Una tragedia che il PCI di Togliatti cercò sempre di minimizzare e far dimenticare.

Italiani brava gente. Una guerra pulita?

La propaganda fascista insiste molto sulla “innata umanità” del soldato italiano, figlio di una “millenaria civiltà” rispetto al barbaro russo, reso ancora più brutale dal comunismo.

In realtà invece:

  1. La guerra contro l’U. S. è una guerra di sterminio e le truppe italiane ne sono complici. I commissari politici e gli ebrei nelle zone di occupazione italiana devono essere consegnati ai tedeschi
  2. Le truppe italiane vedono le violenze quotidiane ma non intervengono. Spesso gli alti comandi sono i primi a incentivare le violenze alle quali il soldato italiano deve attenersi
  3. Nelle proprie zone di controllo le truppe italiane procedono a requisizioni di ogni genere: dal legname al grano, dagli animali macellabili al sequestro delle case in cui alloggiare i soldati. In prossimità del fronte i civili devono essere evacuati

** Lettura, p.53-54

  1. Carabinieri e milizie collaborazioniste procedono a quotidiani rastrellamenti a caccia di spie e partigiani. Reparti italiani fucilano partigiani ed elementi sospetti. Spesso sono coinvolte anche le popolazioni civili con distruzione di case e interi villaggi. In alcune aree tedeschi e italiani agiscono insieme
  2. E’ falsa anche l’idea che i soldati fraternizzarono con i civili. Le disposizioni degli alti comandi erano contrarie a rapporti stretti con i civili. In ogni caso i civili sono descritti nelle lettere a casa come barbari, brutti, sporchi, pieni di pidocchi, cattivi, traditori, malvagi, codardi…
  3. E’ falsa anche l’idea che i primi a fraternizzare con i soldati furono i civili ucraini e russi. Se mostrarono simpatia era solo per sopravvivere. Difficile immaginare che gli italiani invasori fossero simpatici
  4. E’ falsa anche il presunto rispetto dei soldati italiani verso i soldati russi. La propaganda italiana descriveva i soldati avversari come bruti privi di qualunque moralità. Le presunte efferatezze ai danni dei soldati italiani eccitavano l’istinto di vendetta
  5. Di fronte alle violenze contro gli ebrei il soldato italiano è indifferente. Le violenze dei tedeschi non provocano pietà o altro
  6. Finita la guerra invece si dirà che i soldati italiani avrebbero sempre disapprovato e qualche volta reso manifesta la loro repulsione verso le violenze contro gli ebrei (“il cattivo tedesco” contro il “buon italiano”)
  7. E’ falsa anche l’idea che i soldati italiani abbiano combattuto malvolentieri non capendo i motivi della guerra nazi-fascista. In realtà da documenti e lettere si evince che i soldati (in maggioranza) avevano assimilato la propaganda tedesca e italiana per cui i civili erano barbari e violenti, gli ebrei-comunisti da annientare.
  8. In molte lettere l’invasione è una guerra giusta per liberare la Russia dalla cancrena del giudaismo comunista, per liberare il popolo russo e l’intera Europa dalla “peste rossa”
  9. L’entusiasmo per la campagna durò fino al rovescio della rotta dal Don. Poi i toni mutarono repentinamente
  10. Anche la Chiesa di Roma ebbe parte attiva nella campagna militare benedicendo le truppe in partenza e motivando i soldati alla guerra con i cappellani militari. Spesso si invoca il mito della crociata contro il bolscevismo
  11. I soldati italiani sono anche razziatori che condannano le popolazioni alla fame
  12. I prigionieri di guerra – nelle zone controllate dal Regio Esercito – sono messi a lavorare per le truppe di occupazione con alimentazione inferiore del 50% rispetto al soldato italiano (1600 kc).
  13. Nacquero così campi di concentramento italiani(furono circa 9.000 i prigionieri russi). Nei campi tedeschi erano indubbiamente peggiori le condizioni di vita. Durante la ritirata molti prigionieri vennero fucilati da reparti italiani
  14. E’ falsa anche l’idea di una presunta inimicizia tra italiani e tedeschi fin dall’inizio delle operazioni. Fino alla ritirata i rapporti furono buoni e improntati a reciproco rispetto. Poi le cose degenerarono, ma non per tutti i soldati e gli ufficiali italiani e tedeschi
  15. Durante la ritirata vi furono indubbiamente violenze e prevaricazioni contro gli italiani.
  16. I tedeschi volevano mettere in salvo i loro soldati ancora capaci di combattere e le loro armi migliori. Gli italiani erano stati giudicati come non più capaci di essere di nuovo operativi
  17. Nella memorialistica la ritirata coincide solamente con le prevaricazioni tedesche.
  18. Ci furono al contrario anche numerosi episodi di cameratismo e collaborazione tra i soldati dei due eserciti
  19. Ci furono violenze da ambo le parti, ancheda parte di italiani contro tedeschi (!)
  20. E’ famosa la morte del generale tedesco Karl Eibl, comandante del XXIV Corpo d’Armata corazzato. Mentre era seduto sul cofano del cingolato fu raggiunto da una bomba a mano lanciata da un soldato italiano
  21. In Germania però non nacque una interpretazione della sconfitta in cui la colpa era degli italiani
  22. In Italia invece è dagli alti comandi dell’esercito che parte l’invito a raccogliere tutta la documentazione possibile su singoli episodi in cui mettere sul banco degli imputati i tedeschi.
  23. In questo modo si potevano nascondere le responsabilità del fallimento italiano e trovare nel “tedesco barbaro” il capro espiatorio delle proprie responsabilità
  24. A questo punto i rapporti sono rovesciati: l’alleato diventa il “nemico da odiare” mentre il barbaro russo diventa l’ “unico amico del soldato italiano”
  25. Anche il mito del coraggio dei tre reparti alpini servì per nascondere i gravissimi errori dei loro comandi (generale Nasci)

Dopo l’8 settembre la nuova classe dirigente italiana (il re e Badoglio) lancia una campagna politico-propagandistica che rafforza il mito dell’eroismo dei soldati durante la ritirata e stigmatizza il comportamento dei tedeschi.

Ciò per tre motivi:

  1. Si voleva ritorcere contro i tedeschi le accuse di tradimento dopo l’8 settembre
  2. Incoraggiare la popolazione italiana a opporsi all’occupazione tedesca
  3. Mostrare agli Alleati anglo-americani che l’Italia era un partner affidabile per evitare che alla fine della guerra il Paese fosse penalizzato, come in effetti è accaduto

Quindi si sostituì alla guerra con i tedeschi la falsa memoria di una guerra in cui gli italiani apparivano sempre vittime e mai alleati con i germanici. Tutto ciò è arrivato intatto fino ad oggi.

Possiamo concludere dicendo che siamo stati vittime finora di una narrazione ideologica della campagna di Russia in cui la realtà dei fatti è stata capovolta consapevolmente o inconsapevolmente per fini politici.

Nostro compito è quello di sovvertire le false rappresentazioni al fine di liberare la memoria storica del passato da ogni forma di manipolazione.