L’altra Resistenza. La Resistenza non armata

Una riflessione sul 25 Aprile tra passato e presente

Nel mio breve intervento vorrei mettere in evidenza alcune categorie di persone che a
buon diritto devono essere inserite tra le protagoniste della lotta resistenziale e poi
fare qualche considerazione su quello che accade oggi in Italia.
Quale immagine abbiamo maggiormente presente quando parliamo della
Liberazione d’Italia?
Sicuramente le sfilate dei partigiani nelle città liberate oppure
una delle tante fotografie nelle quali vediamo singoli partigiani pronti al
combattimento.
La guerra in montagna è stata una componente forte della lotta resistenziale che ha
coinvolto decine e decine di migliaia di italiani dall’8 settembre del ’43 fino al 25 Aprile
‘45.
I partigiani hanno scritto pagine epiche e innumerevoli sarebbero i fatti d’arme da
ricordare.
Eppure se ci fermassimo alla lotta partigiana in montagna o in città non avremmo un
quadro completo della Resistenza, che chiama in causa altre memorie oggi da
riscoprire e rivalutare.

La resistenza militare

Una di queste è rappresentata dai 650.000 militari italiani finiti nei campi di prigionia
tedeschi, dopo il disastro dell’8 settembre del ’43.

Qual è il legame con la Resistenza?

Con un coraggio che ancora oggi ci appare eroico la maggior parte dei nostri soldati
disse “No!” a ogni proposta di arruolamento nelle milizie di Salò che avrebbe
permesso loro di ritornare in Italia. Seppure educati nel fascismo i nostri ventenni
seppero dare una lezione di dignità a quella classe dirigente italiana che dal re ai
ministri del governo Badoglio non seppe far altro che fuggire davanti ai tedeschi
abbandonando un intero paese al disastro dell’8 settembre.

La Resistenza operaia

Un’altra forma di Resistenza al nazismo e al fascismo servo dei tedeschi fu la
straordinaria prova che dettero gli operai e le operaie del Nord con diverse ondate di
scioperi a partire dal marzo del ’43 fino alla Liberazione. Quest’anno ricorrono gli
ottant’anni dagli scioperi del ‘43.
Il livello delle lotte nelle fabbriche italiane non fu assolutamente eguagliato in nessun
altro paese europeo soggetto all’occupazione nazista (soprattutto nel marzo del ’44).
Eppure non era facile scioperare allora. Il rischio di deportazione nei lager nazisti era
molto forte per coloro che organizzavano gli scioperi oppure si esponevano più degli
altri nel tenere alto il morale dei lavoratori in lotta.

I deportati nei lager

Dei 24.000 “Triangoli Rossi” deportati nei campi di concentramento tedeschi più della
metà erano operai e operaie arrestati in seguito agli scioperi del ‘44 per poi essere
uccisi a Dachau, Mauthausen, Ravensbruck, Buchenwald … Gli assassinati con il
lavoro, le torture e la fame furono poco più di diecimila.
Anche i deportati in Germania meritano il nome di “resistenti” e anche loro scrissero
pagine significative lottando contro lo sfruttamento dei nazisti e dei padroni italiani
loro complici, pagando il desiderio di giustizia in fabbrica con l’internamento nei lager.

La Resistenza delle donne

Scrisse Arrigo Boldrini, il comandante Bulow: “Senza le donne noi (partigiani) non
avremmo fatto niente”. Ed è vero. Senza il contributo delle donne la Resistenza non
sarebbe riuscita a mettere le radici in Italia.
Le donne operarono con ruoli diversi e molteplici: dalle staffette alle partigiane
combattenti a rischio della propria vita e di quella dei famigliari.
Scrisse Ada Gobetti, moglie di Piero: “Nella Resistenza la donna fu presente ovunque:
sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella
piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione
a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva
insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”. Anche
questa è ancora oggi una memoria da rafforzare.

I renitenti alla leva

Sono giovani delle classi 1924-23 e 22 che il fascismo di Salò chiama nelle proprie
formazioni per combattere partigiani e anglo-americani.
Molti aderirono alla chiamata per paura o per convinzione fascista. Ma molte migliaia
presero la via della montagna e infoltirono i ranghi dei partigiani.
Con la loro scelta rifiutarono la guerra fascista a fianco dei tedeschi, si opposero a una
guerra che ogni giorno appariva sempre più disumana e aberrante.

Fecero una scelta che tanti giovani ucraini e russi dovrebbero fare nella
guerra in corso.
Ossia combattere il proprio paese con le sue stesse armi
opponendosi a tutti i governi in lotta in nome della pace, dell’internazionalismo contro
tutti i nazionalismi grandi e piccoli che mandano i giovani a scannarsi gli uni contro gli
altri.

I disertori
Ma il mio pensiero va anche alle decine di migliaia di giovani che disertarono prima
dall’esercito regio e poi dalle formazioni repubblichine dopo l’8 settembre.
Fecero una scelta coraggiosa e dignitosa. Disertare, ossia non combattere una guerra
imperialistica che avrebbe posto giovani contro giovani, operai italiani contro operai
russi, contadini italiani contro contadinijugoslavi e di altri paesi invasi dal nostro esercito.

Una scelta – la diserzione – che dovrebbe essere fatta da tutti i militari in
tutti i conflitti bellici che attualmente insanguinano il mondo.

La Resistenza dei civili
Ma c’è un’altra categoria di persone (la stragrande maggioranza degli italiani) che fu
umiliata dalla miseria e abbruttita dalle difficoltà quotidiane: i civili, ossia la gente
comune che non combatteva e cercava di sopravvivere.
I bombardamenti, la morte dei propri cari in guerra, le città campo di battaglia tra
tedeschi e anglo-americani fecero precipitare le condizioni di vita a livelli oggi
inimmaginabili. Solo i bombardamenti anglo-americani provocarono circa 64.000 morti
in tutta Italia.
Milano in tutta la guerra subì 60 incursioni aeree tra le quali i terribili bombardamenti
dell’agosto del ’43 che provocarono un migliaio di vittime.
Furono eroiche soprattutto le donne che per tanti mesi lavorarono per un salario di
fame, fecero lunghe ed estenuanti code per comprare qualcosa per i propri figli a
casa, sempre con la paura del successivo bombardamento notturno e con il pensiero
costante al figlio o al marito in qualche lontano fronte di guerra.
Quindi anche i civili “resistettero” alle tante tragedie collettive e familiari di quegli
anni con una dignità e tanto coraggio che poi trovarono ricettacolo nei tanti racconti
familiari del dopoguerra.

Partigiani combattenti in montagna e in città, operai e operaie che
scioperarono in pieno marzo del ’44, operai che furono deportati nel KZ,
donne che operarono nella Resistenza, donne che resistettero sotto i
bombardamenti, ex militari in Germania che dissero NO al fascismo di Salò, i
renitenti alla leva di Salò…
a tutte queste persone dobbiamo dire grazie dei loro
sacrifici!
Se tutti coloro che scrissero la storia in questo periodo potessero tornare tra
noi sono sicuro che proverebbero raccapriccio di fronte all’Italia di oggi.
Un Paese dove fascismo e razzismo trovano spazi quotidiani nelle istituzioni e nella
vita civile.
Un Paese – l’Italia – che lascia morire in mare migliaia di uomini, donne e bambini.
Sono 45.000 dal 2000 ad oggi nel Mediterraneo. Duemila morti l’anno.
E’ lo stesso mare in cui si bagnano ogni estate decine di milioni di turisti, le stesse
rotte solcate dai palazzoni multipiano delle navi da crociera.
Barconi e ombrelloni, naufraghi e croceristi … non lo si ripeterà mai abbastanza:
questa società ha fatto della barbarie un’abitudine quotidiana!
E per coloro che arrivano – dopo aver attraversato deserti, frontiere pericolose, mari
minacciosi – lunghi mesi in strutture italiane che potremmo benissimo definire lager di
detenzione. E poi – se non respinti nel loro Paese – una vita di sfruttamento nei campi,nell’edilizia, nella ristorazione, nelle fabbriche … in alloggi squallidi e sempre
circondati dal disprezzo o dall’indifferenza di una buona parte dei politici e di coloro
che li votano.
E prima di tentare di arrivare a Lampedusa molti di loro – uomini e donne – hanno
conosciuto gli orrori dei lager libici, ampiamente finanziati dagli ultimi governi italiani e
dalla “civile” Europa, che non è meno responsabile del nostro paese in tutte queste
tragedie.
L’Italia ormai è il paese dell’apartheid di fatto, con milioni di lavoratori di origine
straniera confinati nelle mansioni più ingrate e in regime di segregazione salariale.
Uomini e donne che ogni giorno devono fare i conti con le angherie dei permessi di
soggiorno e il calvario dei ricongiungimenti familiari.
Milioni di persone la cui miseria e precarietà è sotto gli occhi di tutti senza che alcun
partito si faccia carico per esempio del problema di case dignitose e di salari che non
siano sinonimo di sfruttamento bestiale.

Non si può accettare una società che ha fatto della barbarie una
consuetudine quotidiana!

L’Italia è un paese dove si muore sul lavoro come in nessun altro paese europeo e
dove corruzione e dilettantismo politico imperano. Un paese divorato da un’evasione
fiscale a dir poco colossale. Malato di sanità, con le culle vuote e la scuola allo
sbando… ma pregno di cinismo e ipocrisia.
Ripensando alla lotta partigiana nelle città e in montagna e alle tantissime persone
che hanno dato la propria vita alla Liberazione, vorrei terminare con una citazione di
Giorgio Agosti, partigiano azionista:
“Una volta al secolo, qualcosa di serio e di pulito (la Resistenza) può accadere anche
in questo Paese”.
Noi – nel nostro secolo – stiamo ancora aspettando – fiduciosi – di vedere qualcosa di
serio e di pulito… in Italia.
Grazie